Fancesco Muzzioli. Per una poesia del corpo. Introduzione a Il torsolo del Ventre ed altre fandonie
Francesco Muzzioli
Per una poesia del corpo
Introduzione a Il Torsolo del Ventre ed Altre Fandonie, di Erminia Passannanti
(Collana Transference, Troubador, 2006)
Contro la tendenza dominante della poesia dell’“anima”, che continua ad ammorbare i nostri climi letterari con i suoi irrespirabili incensi, e a monopolizzare le residue presenze della poesia nella cultura diffusa e nell’immaginario collettivo (si pensi alle caricature cinematografiche di banalissimi personaggi-poeti, come pure ai rari ma purtroppo significativi, riconoscimenti ufficiali), e si conserva saldamente radicata nel senso comune anche giovanile, tanto da apparire a volte – in una di quelle “false alternative” che ci circondano – quasi che fosse lei, addirittura, l’antitesi al capitalismo (come se il guaio del capitalismo fosse di aver perso l’anima e non di essersi “smaterializzato”, proprio, nei cieli del “puro spirito”), mentre si riduce a fungere da pallido sintomo sublimatorio; contro questa tendenza, dunque, credo che si debba prendere radicalmente posizione.

Nelle avanguardie del Novecento, il corpo della parola veniva identificato nella materia del significante. Si trattava, per i futuristi, per i dadaisti e poi per i verbovisivi e i “telquelliani”, di assaporare il suono, di gustarne l’impasto, la grana, fino a separarne le singole componenti oppure fino a creare una neolingua, passandosene del legame “ragionevole” con il senso. Questa fungibilità della parola nel suo lato “vocale” rappresenta implicitamente l’utopia di una libertà verbale “a pronta presa”, che è possibile acquisire subito, qui-e-ora, semplicemente sciogliendo il segno dalla sua convenzione significativa. Ma il mondo post-novecentesco, ormai, ha ben presente la difficoltà di ogni libertà immediatamente disponibile (la libertà “a pronta presa” è, nel capitalismo “drogato” in cui viviamo, quella del liberismo, del potere che si fa le leggi da solo, ecc.: l’anarchia berlusconica); la libertà è invece tutta da conquistare, la libertà è nel conquistarla. Allo stesso modo, la corporeità non è data (la corporeità data è il corpo-oggetto della profilassi medica e delle cure estetiche, oppure dell’eros prefabbricato dell’immaginario di massa), ma va strappata alla “sussunzione reale” della merce. Nel caso del corpo della parola, ciò significa che dobbiamo tornare a cercarlo nei nodi e nelle intercapedini dei codici, dei generi, degli usi e dei contesti, in una parola dei sensi del linguaggio.
Queste riflessioni mi sono state suggerite dalla lettura del Il torsolo del ventre di Erminia Passannanti, la raccolta poetica che qui si presenta. In questo ultimo testo, ma un po’ in tutta la linea di ricerca di questa autrice, la centralità del corpo si presenta e si articola su diversi livelli che proverò a distinguere brevemente. In primo luogo, la corporeità si manifesta nella propensione al prosastico. Il prosastico vuol dire corpo tematizzato e incremento percentuale della terminologia relativa al corporale. Si può partire dal «ventre» che dà il titolo alla raccolta e via via inventariare; e si vedrà che la tendenza è massiccia. E però qui prosastico vuol dire di più: vuol dire anche, precisamente, uso della prosa. È vero che la prosa è un semplice strumento, è un mezzo e non un genere, e che essa è perfettamente abilitata ad adempiere pure, al buon bisogno, ai compiti della lirica.
Tuttavia, ne Il Torsolo del Ventre della Passannanti, la prosa sembra affermarsi a discapito, non solo della forma più tradizionale del verso, ma anche a totale detrimento della liricità e della sua spinta verso l’alto e il sublime. Curiosamente – e a differenza da altri precedenti usi in poesia, come, ad esempio, nel cosiddetto poema in prosa – l’impiego della prosa non è accompagnato dalla liricizzazione e dalla ricerca di clausole metriche, ma fa entrare nel testo il tono di un linguaggio pseudo-argomentante, di tipo trattato, che mette in scena uno sragionare sproloquiante, con forte tendenza alla parodia. Il ritmo, qui, non è la musicalità facile delle sillabe; è lo scricchiolio di una macchina che gira a vuoto, come già annunciava l’opera prima, del 2000, Macchina.
In secondo luogo, vorrei sottolineare l’impiego della lingua “storica”. Questo impiego è esattamente connesso a quel rimuginare prosastico della “trattazione maltrattante” e della tendenza alla parodia. Ecco allora che il linguaggio chiamato in essere è una parola tinta di passato, che riemerge dalla storia con la connotazione letteraria di un prestigio perduto. Non c’è, si badi, nessuna pietas conservativa, qui, né alcun valore antiquario. Il linguaggio della tradizione è semplicemente un relitto tra gli altri, un fantasma che viene agitato polemicamente di fronte all’impoverimento della “lingua di plastica” delle comunicazioni di massa. A cospetto del mito della trasmissione immediata di significati, che oggi presiede alle attività dell’industria culturale, si pone e si ammassa, qui, in una sorta di freudiano “ritorno del superato”, una lingua letteraria che rischia ormai di apparire “ostrogota”, incomprensibile ai più.
Da questo punto di vista, lo strato “alto” della lingua aulica si congiunge allo strato “basso” del dialetto, in quanto entrambi estremi ormai degradati, espunti e respinti ai margini dalla medietà dei media. In un tono “popolaresco” tutto reinventato (d’altra parte, oggi, il “popolare” ha cambiato di segno ed è, precisamente, la cultura dominante e la lingua normalizzata e globalizzata), in un impasto grottesco e straniato, la Passannanti mette sulla sua scena poetica tutta una serie di personaggi-maschere, che diventano protagonisti di un insensato brulicare di azioni-e-reazioni, di un “teatrino” in cui è possibile riconoscere la mimesi distorta della nostra politica-spettacolo (e talvolta, qualche personaggio lo si riconosce proprio, senza ombra di dubbio, dietro le teste di legno). Gente come il «Deus Ex Machina», il «Merda», oppure l’«Hommo de Sale» o lo «Sciaguratiello», animano contese e offese sul palcoscenico del «roboante pianetucolo». Non era sufficiente – obietterà qualcuno – “dire le cose” e puntare direttamente il dito sulle malefatte dei mariuoli al potere o sulle nefandezze dalla guerra preventiva? Perché questo passaggio attraverso l’attrezzatura della finzione? Ma certamente – rispondo – perché gli strumenti della testimonianza o della denuncia sono facili a svilirsi in merce da informazione, a farsi consumo patetico del vittimismo, e allora l’impegno civile deve approntarsi una forma deformante per stigmatizzare l’atteggiamento, il gioco delle parti, la modalità burattinesca dei fantocci che infestano il mondo.
Infine, in terzo luogo, il corpo non può emergere, nel linguaggio della poesia, altro che come enigma e come conflitto. Il corpo sfugge ai saperi costituiti (è la «cosa sconosciuta»); si pone al punto di rottura dell’ordine (è scritto che «Il Torsolo del Ventre s’identifica con il Tafferuglio Massimo»); si situa contraddittoriamente al «centro di un Travaglio» (triangolabile secondo le coordinate della «Sopravvivenza», della «Resistenza» e della «Dissidenza»). Gli è che, da un lato, il corpo è pur sempre in intreccio con la psiche (è Psychosoma), innervazione di pulsioni e di investimenti; dall’altro lato, è corpo-mondo, ingrediente di cucina nel calderone globale. La sorte del corpo nella globalizzazione trionfante (o capitalismo “drogato” che dir si voglia) dà da pensare. Il corpo è esaltato, ma solo dentro i parametri dell’immagine patinata. Altrimenti è in esubero. Che il corpo sia raggiungibile, oggi, solo cercando tra i margini e i resti (come «Rimasuglio di Vita») balza agli occhi dalle pagine poetiche della Passannanti. In esse il corpo, per sfuggire alla fantasmagoria che lo riveste, si manifesta strappando la seconda pelle del linguaggio; cioè emerge come non-senso, sregolatezza, follia, in rivolta contro l’addomesticamento culturale che permea le false libertà vigenti.
Questi diversi livelli di discorso si riflettono bene nelle ambivalenze del titolo, che mi ha colpito fin dall’inizio: Il torsolo del ventre. Il «torsolo» rimanda a qualcosa di nucleare e basico, ma è nello stesso tempo un residuo, ciò che si butta via dopo avere mangiato il frutto. Il «ventre», a sua volta, è il segnale dell’ingordigia e la sua gonfiezza, è soprattutto un luogo centrale della comicità “classica” (e allora si connetterebbe al torsolo come “ventre bitorzoluto”); ma significa anche, ovviamente, la parte del corpo specificamente femminile, il luogo della produzione-riproduzione della vita.
La rivendicazione del femminile attraversa tutto il libro e, in alcuni punti, si enuncia esplicitamente (si vedano, ad esempio, Femmina, svolto in tono di preghiera; e l’«insperata specie femminile», in Da vecchia). Eppure, il lato comico-parodistico, con le sue intemperanze linguistiche e il suo mescolamento di stili e di voci (tutto il coté bachtiniano del libro), fa sì che ogni protesta sia sempre lì lì per rovesciarsi in finzione esibita, nell’avviso a non prendere troppo sul serio un testo che è «fandonia», «baggianata» e quant’altro, secondo i segnali di palese autoironia.
La “panza” si fa “panzana”, ovverosia riscrittura, scoronamento, abbassamento, critica della letterarietà stessa. Sicché, a differenza della vulgata, che vuole la scrittura al femminile minimalisticamente attesa a una corporeità che è quella del quotidiano, qui la faccenda si rovescia. La concretezza non sta nel vissuto, ma nel delirio. Mentre il vissuto si attiene ai fantasmi ricevuti e alla fine se ne accontenta senza forzarne l’assetto profondo, anzi rafforzando con la narrazione l’“io sono” più codificato, il delirio tenta di toccare il “torsolo” del corpo negato dall’ordine delle cose e dei discorsi. Insomma se dobbiamo, come dobbiamo, cercare il corpo, i testi poetici di questo libro ci insegnano a prendere la strada più lunga; anzi, a passare dalla parte opposta. Precisamente: la parte opposta al senso comune.
Roma, 22 gennaio 2006.
Erminia Passannanti (brano tratto da Il Torsolo del Ventre ed Altre Fandonie. Poesie e Riflessioni di Qualche Genere, Troubador, Leicester, 2006)
Il torsolo del ventre nelle obliquità del Merda
Il torsolo del ventre si aggira nelle obliquità del Merda,
nel sospetto di uno sguardo in tralice.
Attende su una soglia di sapere dove andare
et nel frattempo riflette il suo ghigno beffardo allo specchio
di colui il quale in esso si rimira.
Scriveva il Francese Irreprensibile:
“Che la concretezza umana sia carenza basterebbe a provarlo la vitaccia de lo torsolo del ventre come accidente umano…Per comprendere qual sia lo scopo per il quale il torsolo del ventre sia torsolo a se stesso, bisogna che vi sia carenza. Ciò nondimeno si tratterebbe non di una carenza palpabile, ma di una carenza sopportata…Ovvero, abbisogna alquanto in questo momento che vi sia la carenza sua propria de lo torsolo del ventre, come carenza d’essere, sollecitata nel suo più intimo dal Merda, di cui est il torsolo del ventre. Così testimonia la vitaccia di una mancanza intrinseca nel Merda de la concretezza umana.” (Il Francese Irreprensibile, 1943)
Per Il Francese Irreprensibile, la perdita di se stessi et la negazione de la pertinente autosussistenza, rimarrebbero così ormeggiate ad una indubitabile dottrina per la quale il per-sé si delinea qual ardua ricercatezza di una improponibile e mal pensata verità.
Senza curarsi de la denuncia di una carenza d’essere precisamente, la sua analisi est pur sempre volta verso la vitaccia alla quale si dedica una dignità vincolante;
Ebbene, il grave passo est pur sempre quello reazionario del rifacimento del mancante.
Il Deus Ex Machina est colui il quale scopre all’opposto una fessura: il suo codice porta in seno o a tergo la rottura col martello del Merda.
Et in tal modo, si palesa bellamente tale segmento dottrinale:
“Il riuscire a favellare è principio essenziale, il qual est legato alla mia carenza d’essere. Come se pronunciassi il mio epitaffio: vocalizzo tristissimo, tragico et assai doloroso, ovvero mi congedassi dal di mio essere carente, io come vocabolo che mi surplussa et la cui staticità ha intemperantemente per me istesso la funzione di pietra tombale sistemata nel vuoto. Allorquando favello, contesto la vitaccia di ciò che sfavello, nego finanche la vitaccia di colui il quale profferisce favella; la mia linguaccia, se scopre il Merda nella sua infondatezza, dichiara simile annuncio che esso est stato generato dalla non sussistenza di colui il quale la fa di essere altro che il suo essere di Merda.” (Deus Ex Machina, 1983).
L’assenza dell’essere, di cui sopra profferisce favella il Deus Ex Machina, segna il discorso anche di colui il quale est molto simile al Francese Irreprensibile, nel quale, et per il quale, la spiegazione di come sorge il torsolo del ventre è data egregiamente di seguito:
“Il torsolo del ventre si produce nell’oltretomba de la bella et innocua interpellanza per qual si voglia vitale bersaglio, confinando la vita del Merda alle sue restrizioni, sfrondandone il bell’incubo; ma esso fa una buca al torsolo del ventre finanche nel suo aldiquà, per qual scopo, domanda incondizionata de la presenza et dell’assenza, essa richiama in vita la carenza del Merda. In siffatta aporia personificata, il torsolo del ventre si afferma come assolutezza del budello espropriato.”(Il Babba, 1974)
Il torsolo del ventre est un rinvio, come del resto lo est il Merda.
Il rinvio perdurevole est la peculiarità rossa e qualche volta verde dell’inconsistenza et de lo sminuzzamento originario del Merda, che si illude di essere ciò che est già et sempre in un secondario corpo.
Colui il quale, a proposito de lo torsolo del ventre, prende forma, afferma Il Babba, attraversa per lo intruglio viscerale dei begli assai budelli.
Il Merda sfavellante est in tal modo ravvisato:
“Il corporeo arrangiato e pertugiato-in-frammenti…est quella qual cosa che si mostra regolarmente nei begli incubi. In quell’occasione, ciò che si manifesta nella causa formale sminuzzata, si materializza in membra disgiunte et intrugli di begli assai budelli raffigurati in endoscopia, che mettono ali, et a volte spessamente s’armano per le persecuzioni intestine.” (Il Babba, 1974)
Prosegue pertinentemente il Babba, individuando il concreto nel suo essere arrangiato e pertugiato come si individua chiaramente nel quadro clinico del reo Merda dell’amore sbudellato.
Il materiale arrangiato e pertugiato-in-frammenti est la disintegrazione di un poco di roba che ha smesso di dipanare il proprio uffizio, la saturazione et la trasformazione di un Merda che non accerta più se stesso.
Per questo verso il torsolo del ventre, che est pur sempre il torsolo del ventre del Merda, est una spinta incessante di cui l’appagamento sarà solo virtuale.
Il torsolo del ventre est trascinante espansione che sorge et si fa spazio nel germoglio di una primordiale disgiunzione de la quale il Merda tollera la prognosi infausta.
Il sentiero de lo torsolo del ventre sembra essere quello contrassegnato dalla formazione et dallo sviluppo del Merda.
Si tratta nondimeno di un Merda che elude ogni riconoscimento et incarica l’Altro dell’aderenza a sé.
La trasmutazione del Merda produce una difficoltà primaria:
se il Merda est Merda de lo torsolo del ventre allora dove si dirige il torsolo del ventre?
Verso un utensile indefinito che est imperituro e durevole rimpiazzo.
L’agognar d’aver qualcheduna demenza in cambio est una scusa, est il grave passo dell’abbuffamento di supplire et riempire un contenitore fondo che già est da sempre sforacchiato.
Il nutrimento effettivo de lo torsolo del ventre est dunque nel capovolgimento del resoconto di scambio tra il bel desiderante et il dannato desiderato, in cui il dannato desiderato non vive assatanato, ma solo assistito in attesa di tempi migliori.
Il torsolo del ventre si fa spazio.
Rompe le dighe fasulle di un Merda fittizio et straripa in un bell’altrove.
L’Altrove est un luogo di disonori irresoluti.
“Il torsolo del ventre non si designa obliquamente, da una parte all’altra, senza nemmeno una carenza sostanziale… Est proprio in quel modo che si pensa il torsolo del ventre come viadotto tra il Merda et un utensile: il Merda non può che essere diviso in sottili lastre, come l’utensile scomparso in partenza…Ci pareva che il torsolo del ventre fosse un andamento logico, et che svolgesse un levigato piano di densità, un terreno recintato, irrorato con urina e coltivato a nespole. Il torsolo del ventre inconfessato non est dunque conficcato all’interno di un Merda, come non tende neanche verso un utensile: est invece intrinsecamente fenomenico a un piano a cui non corrisponde un bel tempo precedente, un piano che deve essere composto, dove si emettono de le particelle, dove si coniugano tutte le fuoriuscite delle scure acque. C’è il torsolo del ventre solo in quanto c’è dispiegamento di un tale terreno recintato, irrorato con urina e coltivato a nespole, propagazione di tali scorrimenti, fuga di simili corpuscoli. Lungi dal presupporre un Merda, il torsolo del ventre può essere colto solo nel punto in cui qualcuno non cerca o non coglie più un utensile così come non coglie il Merda. Il materiale arrangiato e pertugiato senza intruglio dei begli assai budelli comporta dei vuoti et delle zone prive di ogni nera vegetazione. Ma questi fanno integralmente ritaglio de lo torsolo del ventre, ben lungi dall’approfondire una qualsiasi carenza…già la zona priva di nera vegetazione est il materiale arrangiato e pertugiato senza intruglio di begli assai budelli che non est mai stato contrario alle tribù che lo percorrono.”(Urticato, 1998)
Il levigato piano di tenacia su cui sarebbero obbligati ad incontrasi tutti i Merda responsabili di disastri perpendicolari est una radura scivolosa et desertica che partecipa ai tafferugli dei Merda istessi.
“Il materiale arrangiato e pertugiato senza l’intruglio dei begli assai budelli non lo si ottiene facilmente: lo si conquista. Su di questo materiale ci sdraiamo, facciamo la nottata, guerreggiamo, trionfiamo et siamo sconfitti” (I due ipocondriaci, 1996).
Est attraverso la perdita de li budelli limpidi et de le significazioni che si perviene alla verità de lo materiale arrangiato e pertugiato: un aggrovigliamento di resistenze et battagliamenti, una varietà tangibile ovvero un intruglio di begli assai budelli, spogliati de la loro istessa densità e sparpagliati sul deserto ovvero su quella zona priva di vegetazione nera, materiale arrangiato e pertugiato che si autoannichilerà.
“L’uomo est per qual scopo mal costruito. Necessario affare esporne il nero cancro che gli corrode l’intruglio di begli assai budelli. Allorquando gli avrete per accidente tolto dal ventre questo materiale arrangiato e pertugiato senza intruglio di begli assai budelli, l’avrete liberato. Allora costui inizierà ad ondeggiare alla rovescia come nel vaneggiamento” (La Bomba, 2001)
Il materiale arrangiato e pertugiato senza intruglio di begli assai budelli est la liberazione del Merda.
[Copyright: Erminia Passannanti, 2006]