Poesie / Poems - Poesia del dissenso (Antologia di testi e autori)
Poesia del dissenso (Volume 2)
Commento critico di Daniela RaimondiLa poesia di Erminia Passannanti, unica voce femminile nella raccolta, usa un linguaggio altamente evocativo ed emotivo. Nel suo spazio poetico si annulla totalmente la divisione fra il dentro e il fuori, fra il corpo e il mondo. Qui la voce del dissenso acquista un’impronta di carnalità dolente e sofferta che sembra rimbalzare continuamente fra la realtà esterna e il malessere interiore, che viene percepito in modo viscerale. Una fisicità sofferta e viva, ma sempre accompagnata dall’affannosa ricerca di una realtà al di là dell’inganno, al di là di un’esistenza ostile e spesso incomprensibile: ‘Mi faccio strada tra sassi ed erbacce/ La bocca spalancata ai petali/ Che esigono vita/ Il respiro la spiegazione di cosa/ Sia sangue terra acqua.” Questa fisicità, sofferta ma profondamente viva, si contrappone con forza alla staticità arida e sterile del mondo:
“Non sono morta giaccio
Con le mie perle al collo
Una perla per ogni anno
Perle negli occhi inganno
Su questa nebbiosa pianura.”
Con le mie perle al collo
Una perla per ogni anno
Perle negli occhi inganno
Su questa nebbiosa pianura.”
Un mondo che, nei versi di
Erminia Passannanti, viene percepito come mero teatro della falsità. Frequenti,
infatti, i riferimenti alla teatralità, alla commedia in cui veniamo trascinati
“per mano d’una teatralità/corale…copiata somiglianza/ e trasformazione del
vero/ commedia della tragedia… Ma il palcoscenico come pietra negli occhi/di
quest’opera di umana prece/era deserto.” A questa finzione Passannanti
contrappone immagini di elementi primari che sembrano riportarci a un mondo
ancora intatto: ‘sangue, terra, acqua’, e a questi si aggiungono spesso
elementi corporei: ‘ossa, ventre, bocca spalancata, lingua, piedi, occhi,
utero’. Elementi tangibili, vivi persino nelle loro funzioni più degradanti:
‘addome inflato,… budello che espelle una nerastra cannula…’. Sempre
contrapposti con grande forza sensoriale ed evocativa alla falsità che ci viene
quotidianamente somministrata.
Copertina dell'antologia Poesia del Dissenso |
“Dopo quaranta giorni, con
purissima acqua
Come all’ingresso d’una vita nuova,
Si lavi il ventre della condannata,
Il suo ventre defunto,
Come si laverà quello futuro:
Ella riprenderà abiti e brache.”
Come all’ingresso d’una vita nuova,
Si lavi il ventre della condannata,
Il suo ventre defunto,
Come si laverà quello futuro:
Ella riprenderà abiti e brache.”
La figura femminile risulta dunque doppiamente vittima e
doppiamente dissidente perché oppressa sia come individuo sia come sesso da un
potere sociale che, nel caso della donna, diventa anche controllo sessuale:
“In altri spazi mi muovo, alterata.
La veste a sciupare un’innocente rosa
Giungendo ad impedirne
La stagione di sposa
La veste a sciupare un’innocente rosa
Giungendo ad impedirne
La stagione di sposa
Per una mano d’una teatralità
Corale da ricondurre
Agli esiti del corpo
In purezza.”
Corale da ricondurre
Agli esiti del corpo
In purezza.”
Ma il dissenso della Passannanti
non diventa mai un grido nichilista e autodistruttivo. Nei suoi versi traspare
un costante percorso di auto analisi, di puntigliosa ricerca lungo un
‘pelleggrinaggio dell’auto scoperta’ spesso spietata, spesso impedita dai
limiti della parola che può portare solo ‘alla soglia della pretesa’, o da
un’arte che rischia di diventare un altro palcoscenico di finzioni e futili
ripetizioni.
Eppure, nei suoi testi è presente il suo credere nell’uomo, nel
suo pensiero e nella capacità rigeneratrice del dolore: “Ci si deve perdere/Per
ritrovarsi”, dice la poetessa. Noi siamo gli attori, partecipi e vigili sul
palcoscenico del mondo, non solo riproduzioni, cloni, ma forza creatrice e
rinnovatrice in continua evoluzione e movimento:
“Essendo io l’attore. Non mera riproduzione
Imitazione riconoscimento
Rinnovante. Di piedi dotato, e genuino
Motivo del ragionamento.”
Imitazione riconoscimento
Rinnovante. Di piedi dotato, e genuino
Motivo del ragionamento.”
“Ci si deve
perdere per ritrovarsi.” La sua silloge è un percorso di auto analisi che
riflette, in modo laico e in tono dissidente, il percorso di purificazione
della protagonista di “Correcta”.
Nonostante
tutto, non siamo morti. Non macchine, ma sostanza viva: sangue, terra, acqua. E
pensiero. Forse non esiste forma più forte ed efficace di dissenso che
l’inesauribile capacità di creazione e di rigenerazione che fa così
visceralmente parte dell’universo femminile, e che traspare dai versi
dell’autrice con grande efficacia ed energia.
ERMINIA PASSANNANTI
Correcta
comportarsi e
vestirsi
in modo degno
all’epoca del
peccato
per un periodo
lungo
a seconda della
gravità del reato
la scala alta
come pena inflitta
all'omicida
giudicata adeguata
dal concilio
tenutosi a Marengo nell'800
che descrive
pedantemente le abnegazioni
della sottana ritenuta
colpevole.
primo: la
peccatrice
non ha diritto
di ficcarsi in chiesa
durante i
quaranta giorni seguenti;
camminare dovrà
a piedi scalzi,
senza servirsi
di mezzi di
soccorso;
andrà con
camicia di tela, senza brache
perché il
pubblico veda il delitto dal retro,
: e qui
parliamo del bitume viscerale, con e senza
armi. durante
quaranta giorni, non mangerà
pesce o
pollame, se non pane, sale e acqua di fonte.
non gioirà in
compagnia d’altri umani,
né d’altri
contriti, finché i quaranta giorni
non siano defunti,
e nessuno condividerà il suo ventre.
in stima del
suo vincolo carnale
e dello statuto
morale, potrà essere permesso,
per buon cuore,
di saziarsi
con frutta,
erbe e legumi,
soprattutto
s’ha commesso omicidio
non per sua
volontà, ma per forza d’inerzia.
comunque,
durante detti giorni,
è proibito alla
forza della camicia
di avvinghiarsi
carnalmente
con bestia
concubina,
o di giocare al
cane.
per il suo
peccato dovrà stare presso una basilica,
notte e giorno
dinanzi al portale,
evitando di
pavoneggiarsi qua e là.
se minacciata
di morte, la penitenza
sarà differita
fino a quando non avrà ristabilito
la pace tra lei
e i suoi nemici.
se la coglie
malattia che dovesse impedirle
di portare a
termine la penitenza dignitosamente,
questa sarà
differita fino alla guarigione.
in caso di
lungo morbo, il Vescovo deciderà
come guarire la
peccatrice inferma.
dopo quaranta
giorni, con purissima acqua
come
all'ingresso d’una vita nova,
si lavi il
ventre della condannata,
il suo ventre
defunto,
come si laverà
quello futuro:
ella riprenderà
abiti e brache.
per tutto il
primo mese, dopo lunga demenza,
s’asterrà dal
sidro, dall'idromele,
dalla birra,
dalla carne, dal formaggio
e dal pesce
grasso, ad eccezione
dell’onomastico
e a meno che non debba
partire per
lunga escursione,
raggiungere la
famiglia o la corte,
o a meno che
non cada
un’altra volta
sincopata.
in tal caso,
potrà riscattare
l’astinenza del
mercoledì,
del venerdì e
del sabato, ingoiando
ogni giorno una
numeraria d’argento
o nutrendo
minimo tre perversi; questo
fino a quando
non ritorni dal viaggio,
o non guarisca.
alla fine di
questo mese
accederà in
chiesa e le verrà imposta
la pena della
tregua.
Le ultime
commedie
In altri spazi
mi muovo, alterata.
La veste a
sciupare un’innocente rosa
Giungendo ad
impedirne
La stagione di
sposa
Per mano d’una
teatralità
Corale da
ricondurre
Agli esiti del
corpo
In purezza.
Al concreto
dell’esperienza singola
Per una misura
più naturale
E ricordare i
contrasti
Azzurrati della
lingua.
Vecchi padri e
le ambizioni errate.
L’immagine
gretta conservatrice
Del lume della
saggezza.
Mater si fa
prevalente.
Un figlio si
dona, per il figlio perduto.
Il mondo grigio
si da, equivalente.
Possano,
infine, conoscersi all’unisono,
Con la
scioltezza tipica
Della trama
imbastita
A favor del periglio.
Arte come
scopo
Fuori dalle mie
ossa
Partecipanti la
nozione specifica
Della
discussione: azione dramma
Avendo perso
l’essere.
Copiata
somiglianza
E
trasformazione del vero
Rilevante. Buia
ed essenziale
Che non opera –
No – come
incanto.
Illecita
nozione
E orizzonte
arancio
Del cieco.
Commedia della
tragedia
Che concerne la
vita
Come gioco
dell’arte realizzata.
E prospettiva
iniziatica.
Ma senza questi
piedi, dove vado?
E senza queste
ossa, come siedo?
Agenzia
dell’arte legame –
Ricordi?
Parlando
giungendo
Alla soglia
della pretesa.
Inessenziale e
prodiga
Del dire
filosofia
Questa mia
lingua aristotelica, le idee e gli accidenti.
Essendo io
l’attore. Non mera riproduzione
Imitazione
riconoscimento
Rinnovante. Di
piedi dotato e genuino
Motivo del
ragionamento.
Dialogo nel
dialogo.
Non scambio di
idee o discorso.
Logos che Verità
Non è
Ma Metodo. Ci
si deve perdere
Per
ritrovarsi.
Siamo – dicevo
– in tale guisa sorta di viaggio.
Questo
pellegrinaggio dell’auto scoperta.
Scopo e mia
missione di pietrisco.
Una specie
d’estasi
Fuori dalla
dimora del giusto
E della sua
ragione.
Anticipati. Non
cieca follia
Non oblio.
Alzati, su,
sospenditi.
Desiderio
delle masse
Ho seguito una
linea
Mai primaria
Tutti i miei
desideri si prosciugano
Diventano
vittime
Ravvio il mio
destino
Come un pettine
Mi strazia la
strutturale
Somiglianza tra
il desiderare
Del desiderio
la rovina
E la volontà
stessa del nulla.
È ciò che
agognano le masse.
La situazione politica di questi giorni, mesi, anni ha mutato il quadro
della poesia, il suo statuto. La classe borghese ha il segno indelebile del
capitale. La violenza è la sola legittimazione possibile della struttura dello
Stato. All’interno di questa cornice, la disperata configurazione della
famiglia si dibatte come una spaesata sequenza
di fantasmi. La guerra è continua, imponderabile. Il trasformarsi del
consenso in ignoranza è la condizione della sopravvivenza. Questa è la
trascrizione delle percezioni dei rapporti di potere: d’abuso e legittimità.
Tutto è allegorico.
(aprile 2004)
Niente
angustia,
afflizione, risentimento
sorgono a mano
a mano
che ci
s’inoltra nell'analisi del disegno
dei nomi sotto
il dominio del primo livello.
una specie di
colpo di mano
contro la
libertà
come freno allo
sviluppo
del dolore tra
i 28 membri.
mani esposte al
diritto e alle quali
non dovrebbero
sfuggire le forzature
del segno in
discussione
frutto d’un
accordo preventivo
o d’una
collettiva distrazione.
ma di questi
non è il caso meravigliarsi
per la ben nota
innocenza
in materia dei punti
salienti.
s’incominci
subito con un grave errore
che pone
differenze sostanziali.
andiamo avanti.
l’articolo 1. detta regole
che
costituiscono il nucleo dell’accorgimento,
definendo la
“cosa”.
ma secondo la
perversa ingegneria
etrusca i primi
due commi vietano
tutto a tutti
mentre il terzo
esclude
dal divieto
certuni soggetti.
con il comma 6.
s’inocula
la prima
complicazione vitrea, ponendo
che i titoli a
dominio
siano inseriti
a fascicolo delle opere
e nella nullità
pratica
di questa
aspettativa burocratica
di prescrizioni
illustri.
se mai, facoltà
l'informazione
con l’articolo
bis.
fallo lecito
della registrazione
d’un dominio in
violazione
delle leggi
dettate nel postribolo
col conseguente
obbligo
di
risarcimento, fatta salva
la concorrente
direzione del vincolato
ch’ha
effettuato il bell’inventario.
tal è l’oggetto
del testo acuminato,
principio
deturpato e deturpante.
perché si pone
in capo
all'organo
tecnico ch’esegue l’incisione
l'onere di
verifica
della richiesta
illecita.
il che può
compromettere
l’onore degli
astanti, in moltissimi casi,
e la necessità
giurista di costui che dovrà
interrogare i
registri delle camere
e quelli dei
marchi, senza per altro
capitare a
conclusione certa.
sia perché i
registri dei marchi sono
ceffi notori
non schedati da nessuna parte,
risultanti da
procedure interminabili e dal rischio
per il
"registrar" e per il "mantainer"
di continue
citazioni in giudizio,
sia per aver
negato, sia per aver compiuto
un'iscrizione
abietta detta "guerra".
tutto fa sì che
nessun soggetto
ponga il suo
ente
tra la paralisi
e la struttura
per
gl’incontestabili stenti
che un organo
tecnico
urta nella
definizione di circostanze analoghe
macchinose, e
con la gradazione
d’un
contenzioso formalista d’analogie importanti.
nel comma 3.
dell’articolo bis
d’eccezionale
gravità attraverso lo stesso
errore di
principio e autore dei contenuti
immessi al di
fuori delle possibilità
di controllo
immediato
l’errore
tecnico, superando il ribrezzo
causato dal
massacro della lingua italica,
precisa la
norma del doloso
o colposo loro
imputabile l'impossibilità
o la grave
difficoltà d’individuare o identificare
illo medesimo o
lo spazio su cui la legge è collocata.
detto più
semplicemente, questa disposizione
obbligherebbe
il "provider", il "mantainer"
e ogni altro ad
"identificar"
il sior del
dominio o lo spazio del delirio incriminato.
No
Apprezzabile,
certo, ma
in qualche
angolo modesto
delle meningi,
questa enfasi
sulla linfa e
il terriccio.
Ferma nel
libeccio, sospesa su lande
d’acquitrino
dove tutto trasmuta
e non è fondo,
sogno il gelo,
amo l’aria,
resto
per accidente,
integra.
No, mandragora
torta
che adori la
nazione,
che ti bevi il
cervello
fottendo col
padrone,
non ho padre né
padre
né bandiere né
terre,
manco di peli e
ovaie,
non ho lingua
d'orpelli.
Eppure, ho la
potenza
dell’amplesso
contrario.
Godo in un
freddo letto.
Lo straniero?
Mi attizza.
La Madonna
Mia mamma era
la Madonna.
Nel suo sguardo
distante e celeste
si perdevano i
mondi,
s’addolciva
l’infanzia.
Madre di Gesù,
eppure anche la mamma
di questa
scura, smagrita Maddalena
che le rubava
autorizzata le sottane
dal quel
cassetto che sapeva di rosa.
Piccola e
tonda, candida,
spaventosa, la
Madonna
raccolta in una
nicchia
tra le fronde
verde scuro, ad una curva,
era di pietra,
così sinuosa e
liscia.
Di marmo era, e
senza
alcun
rimpianto.
Fine della
Storia
Non sono morta
giaccio
Con le mie
perle al collo
Una perla per
ogni anno
Perle negli
occhi inganno
Su questa
nebbiosa pianura
Che esala voci
color dell’opale
E riprende la
storia: il ventre si dilata
Mi faccio
strada tra sassi ed erbacce
La bocca
spalancata ai petali
Che esigono
vita
Il respiro la
spiegazione di cosa
Sia sangue
terra acqua.
Recit
Ma il
palcoscenico come pietra negli occhi
di quest’opera
di umana prece
era deserto.
E l’angelo
profferente chinò
lo sguardo
azzurro e disse:
Senhor Jesus
Cristo,
filho de
Deus, tenha piedade de
mim, um
pecador, recitando a memoria.
Quindi seguì
una lode a oltranza:
Ecce super
montes pedes evangel
izántium
pacem, allelúia,
et
annuntiántis bona, allelúia.
Célebra Iuda
festivitátes tuas allelúia,
et redde
Dómino vota tua allelúia.
È una finestra
– vedi – di vita
paragonata a
numerosi volumi
di scrittori
che si configuravano
mutati come
fratelli
e alla presenza
del maestro
o dello
specchio e del teatro
operante
dopo altre
attività.
Autodefinite
erano all’interno
del
rappresentante governativo del dialetto
per cercare di
capire cosa, ragionare su che?
O meglio,
stavano amorevolmente in simposium
per ingannare
se stessi.
Frattanto Egli,
da ragazzo
tra i sedici e
i diciassette anni
era un ragazzo
un poco duro
nel disprezzo.
Fu proprio il
caso di dargli imminenza
nella sua
solitudine, nel suo
raccontato
martirio. Infatti,
sulla linea
della saggistica
di sua vita,
era parabola
la valenza
visionaria,
di cui si
parlerà poi.
Il racconto
esibizionista
del ’40
nell’inverno del ’41
dopo il 25
luglio
a Torino giunse
fino alle
rose rosse di
Roma.
Dove oggi si
lavora e si avvalora
codesta
riuscita cronaca: un medesimo leone,
quale fratello
gemello della stroncatura,
che lo scrivere
della morte del padre
trattenne in
commedia.
Come guerra
appena nata il 3 luglio,
la
neoavanguardia, laddove
neoavanguardia
è breve traduzione della
sdraiata, nella sua poesia
di guizzi e
bagliori
fu concepita
per poter dire addio
ai venditori di
fumo.
L’attuale
stato dell’Arte
Che per esso
negli anni
ferocia
all’ipocrisia
premio elargito
alla parola semplice,
ovvero alla
topolina di campagna che assai
si loda delle
proprie bravate nella
notte oscura
dei cunicoli,
intenta a farla
franca:
la lingua
regionale
sia il suo dildo.
Che per esso
l’illusa falda si trascina,
trema e si
preme
nell’alveo
scompensato, ferita
ch’essuda a
lungo vellicata,
a quattro
zampe, su ginocchia dolenti,
la fronte
scorticata.
Col solo occhio
e coi capelli radi
che lasciano
sfornito il lungo collo
protende torto
il biforcuto naso
come esca che
peschi nella melma.
Quindi
s’insinua la lingua grumosa
nei domini di
pistillo e corolla.
Le monda i
denti da rancida bava
il pasto molle
di quest’erba brada.
Affetto da mutismo
alcuno tace.
Ah, che per
esso si tende a
sciarade con la
più intensa
frequenza
quotidiana, si torce e ama,
strazia la
carne, si rinnega e urla
col petto
penetrato da una spada.
O calore,
fessura
come rospo
dell’addome inflato
o pecora
riversa sul selciato, budello
che espelle una
nerastra cannula.
O corpo amorfo,
infezione
che attacca
colera e peste
ad un libello
edotto.
Studio d’Inferno
Studio d’Inferno
rifiuto
l’ideale predestinato
al centro che
prelude
al suo profondo
quelle porte aperte
spaventevoli
fluide
il resto:
tensione
da includere e
concatenare
quale alto
prodigo cadavere
figura di
creatore e scoria
in tali
province
[diversamente
dall’andare e venire]
l’inferno ha
assai lodato e abbandonato
sconcertanti
bellezze
della sua
immagine ha fatto riflesso
in stanze
affollate pugni levati
caos
organizzato nel
’97 per una donna
dal viso
fasciato
e una mano
inguantata sul petto
sullo sfondo
che onora
questa vergine
in contorsione
devota
con tra le mani
il Libro
degli Incubi.