X POESIE di Erminia Passannanti
INDICE
- Di mia Madre
- La realtà
- Kleps-ydra
- Roma 19.50
- Parigi/Baghdad
- Apice
- Ergo Sum
- Nell’intimo
- Il superstite
- Macchina
X POESIE ERMINIA PASSANNANTI
Di mia Madre
non chiedermi perché
l’insondabile occhio che mi guarda
equivalga al catino
in cui mi specchio
pettinandomi all’alba
quando rammento
i discorsi inconcludenti
di mia madre
ho trascritto le sue labbra
e rievocato la voce
della significanza
come un occhio che scruta
o un dito puntato
d’un dio d’un gendarme
sebbene me ne stia
tra un ruscelletto verde
e due pietre angeliche
ancorché fraintesa
pur godo del ricordo
di quelle tre quattro strofe
ch’ebbi a ponderare
quale loro unica giudice
e dal catino traboccano
le acque della bellezza
putride
una voce baritonale
canta
ma senza strazio
spoglia di colpa storica
una nenia insaziata
un grido senza fede
e senza speranza
volendo molto amare
e grandemente
giustificare la propria esistenza
pagando non più
di tre centesimi al mese
ma, dov’è mia madre?
credevo d’averla lasciata seduta
quaggiù in giardino
quieta nella sua vestaglietta
da casa a fiori azzurra
in tardiva difesa delle tasche
con fiera risolutezza d’orfana
a frangere le coerenze altrui
ma senza disappunto
ah, eccola dove credevo fosse
malgrado il silenzio
della posa marmorea
vedi come alza verso di me lo sguardo celeste
del volto lacerato
sorride, stringe le labbra
come a baciare l’aria.
La realtà
Nel mio ombelico le figurazioni
non sono agenti
tra la natura incorporea
e la realtà grezza del corpo
laddove nondimeno il corpo
non si esaurisce
nella sua volgarità
la materia ha solo estensione spaziale
mentre il corpo è indicazione particolare
d’una realtà originaria
che è spazio-tempo
sorta di relazione metafisica
tempo che allo spazio
sta come l’anima al corpo
vuoto tempo unità
soffio vitale e massa
senza separazione
connessione percepita mentalmente
nel corpo effettivo.
Kleps-ydra
Noi che abbiamo redatto
il sommario dei giorni
attraverso l'osservazione microscopica dei relitti urbani
le bambole pallidamente emerse
da lamiere contorte disponiamo
tra i tronchi stagionati e i rami.
Il banchetto si svolse
in un brusio babelico sette metri di bocche allineate chele divelte con maestria dai corpi
un massacro cortese misurato:
Non si affronta l'evidenza
di questo spazio geometrico
i ritmi prolungati nei vasi
di clessidra il carico di ombre
le quantità immutabili
l'equilibrio taciuto peso/tempo.
Versava acqua a riva da una coppa all'altra
si inclinava ora a sinistra ora a destra
verificando l'esattezza del calcolo.
Fluttuava come una pellicola
color tannino nella tazza di tè fumante.
La lingua indugiava
nel gusto dello zucchero.
Come si giunse agli arsenali di memoria?
qualche discarica fuori città franava
sotto il peso dei conti.
Certo si andava per cimiteri d'auto
tra le carcasse
parlando di motori.
Roma 19.50
Mentre il treno si slanciava
in un fine crepuscolo
di campi assetati e assenze,
pregavo "Rallenta!",
e sul giornale di piombo
studiavo le calamità naturali,
i programmi RAI, occhi come laghi
prosciugati, e il profilo acuto di gazzella
della ragazza vicino al finestrino
con cuffia stereo. Come velocemente
lo spettro di nuvole e rami attraversava
il suo sguardo e la sua compostezza
mandarina nel tailleur nocciola,
intatta, tra siciliani diretti a Messina.
Nessuno più tremava dentro, ma reggevamo
una fissità verso l'esterno,
e la campagna calava in una strana
penombra di lune e fari.
Parigi/Baghdad
Malinconiche volte in cui
mi sveglio altrove,
forse da uomo giunta
a qualche boulevard,
un mio padre tornato
per nostalgia al mondo,
non qui, non per me.
O una qualsiasi lei
nella piazza gremita
che d'amore si effonde,
presa in quel verde fiume
che inalterato scorre.
È così che a quel nome
non bastano i ricordi
e nel corpo si cede
per una faccia nuova
ad ogni svolta ignota
Ma soprattutto accade,
che io viaggi nascosta
come in un treno-merci
e che, per questi occhi,
tutto ritorni il tempo
che mi coprì di stracci.
Apice
In questa sorte il senso di ribasso
riguadagna il distacco
l’apice: la figura
si riconosce abietta,
abitante superflua di questo globo
terracqueo, ramingo cane,
incompresa carogna;
l’animo di mestizia si riveste
nello spazio di un autogoverno
strambo: muta
il sentimento della guerra,
diviene lutto antico, smarrimento.
Non da corpo all’azione,
nella svalutazione senza spiraglio
alterna la luna allo scirocco.
Subalterna distingue la scrittura,
l'eccesso del parlare, e all’accidente,
il vincolo dell'euforia aforistica.
Vetta raggiunge
la smania inconsolabile,
il sonno senza pace, la frattura.
La morte-in-vita che la lusinga è tale
che lenta, immateriale, di rabbia si rafforza,
adempimento circolare, e gioia alquanta.
Ergo Sum
della frattura
tra anima-corpo
non sono il sovrano
e nemmeno l’oppresso.
non utilizzo il corpo
piuttosto lo traverso
compiutamente fuori
della pedana del sangue.
la scelta usuale
tra menzogna e follia
ha famosi trascorsi
ma non sono in balia
del sapere polare.
non per spazi accostati
ma per zone divise
raramente integrate
taccio la tonda massa
la vita in generale
del soggetto normale
l’agente patogeno
di cui è portatore
soffocante d’istinto.
odio la forma
del suo comportamento.
resto in silenzio
nell’alveo cerebrale.
Nell’intimo
Avevo nel cuore
la turpe ideologia
ch’ognor mi consentiva
di dare fiato e forma
al pensiero imbracato
negli alvei della Curia
e al Prete e al Prelato
negare la mia natica
verginale e rotonda.
Dal Friuli alla sponda
dell’eremo vulcanico
il vivo sentimento
ch’esprimo dell’Eterno
era l’arzillo treno
diretto a Palermo
d’echi affollato umori
e voci di zampogna
contro la borghesia
regressa di sinistra
ancorata alla testa
d’un tenero pio bove
dissossato spolpato
per farne minestra
intravisto riverso
nella campagna arsa
come un rudere posto
di fianco alla cultura.
In questa prigionia
densa di plagio e mimesi
fascistodemocratica
immersa in una vasca
di pasta a presa rapida
da cui oggi imploro grazia
mentre con blu freddezza
mi calano nell’ acqua
spero meglio vagliare
il furore stilistico
del mio particolare
patrimonio linguistico
nell’oggi d’un domani
senza speranza forse
in quanto incaprettato
del gergo d’un prospetto
votato o costretto
al realismo pratico
di un fare mai fatto
di un dire mai detto
'quistioni' di questioni
che il tempo ha reso gesso.
Il superstite
Amo la prima strofa
Ogni tocco una rima
Perché le sue erano
Grazie vocaliche
Ogni serie adagiata
Senza peso né calcolo
Con movimento inverso
Come sopra le cose.
Macchina
(A mia madre)
Mantiene il carrello lungo la pazzia,
segue piano il binario, chissà
cosa succede nel cuore della notte,
(il carrello lungo la pazzia
mi tiene in alto).
Capitano, i casi, all'orologio minimo.
Bisogna starci attenti.
Utile non avere troppe nozioni d'arte,
(medici vanno e vengono, fanno le cose a sfregio,
mentre il braccio mi sgocciola).
Dicono: "In questa stanza ci sono troppi odori."
Io non avverto nulla da questa mia distanza,
solo onde all'orecchio, rumori,
dolori la cui origine
era la macchina.
Vibrazioni sbagliate prodotte
a notte da note dolorose.
La macchina rotta.
Tanto vale farne senza,
preferisco non averla,
me la rompono apposta.
C'è chi vi siede e lavora
per impedire che lavori chi l'aveva.
Chi l'aveva si dibatte e si dispera.
Non vuole cucire la biancheria.
Ho pianto la vita. Adesso rido.
Appunto per questo, per la macchina,
(vedo come lo sfregio continua
ignoto sulla stoffa).
Stavo come un Lucifero, il mio bel nome
dissipato dal dubbio
di una lurida insinuazione.
È stata tolta.
Mi sento rinascere.
Se scompare piango, se riappare
divento uno straccio, a casa mia mendica,
una mendica in casa propria,
la sorte decisa d'un tratto,
presa nell'ingranaggio, così.
Sorse un rumore che mi dava fastidio,
un fastidio arrecato da qualcuno
che si era preso la briga
di far saltare le molle.
Di notte non procedeva.
Volevo vedere fino a che punto
riusciva a realizzarsi nel suo fondo,
mostrarlo a chi l'aveva messa in palio
con l'essere vivente, che tutti i giorni
(con essa) funziona.
Stiamo parlando della macchina,
una macchina nera
che non posso più usare - giacché manca
dei ferri. I ferri che servono a se stessi.
E ditemi: se questo qualcuno
se n'è servito, a chi ha ceduto i congegni
che aiutano a usare la macchina?
Li ha ceduti a qualcuno senza macchina,
che furoreggia senza controllo,
che ritiene, senza diritto, il mio carrello
escandescente, mentre pretende da me
il martello, il meccanismo a molle, tutto
l'occorrente per potersi sollevare? Non interessa
il mio necessitare di una matita, di una penna?
Mi tengono chiusa in questa stanza
insieme a un nero ordigno
che sfrutta le mie risorse.
Non sa usarlo, la ragazza,
e l'ha trasferito altrove, l'attrezzo.
Una piccola macchina per cucire
che diverge i suoi pensieri.
Ci sta attenta e riuscirà ad usarla,
mentre io smarrisco la via
oltre l'imbastitura.
Non riuscivo più a infilare l'ago,
a girare la manovella,
a sentirmi umiliata, annientata, "Povera me!",
dicevo "Sentirmi uno zero
dinanzi a quei lavori irrilevanti
che l'altra saprà a fare, e io non più.
No, non ci vedo. No."
Ma so parlare, esprimere desideri:
prendo l'ago, lo metto alla finestra,
lo faccio agire.
Lo faccio ingoiare
a chi non sa leggere
i miei pensieri,
a chi marcia o fa l'orlo.
La mia macchina funziona
con tutte le bellezze dell'inverno,
quelle che hanno perfezionato il mio udito.
Conosco le bellezze dell'inverno,
e credo siano quelle
che esaltano l'ordito.
Vadano tutti via da casa mia.
Non voglio in giro macchine da scrivere.
Vengono qui a fare i poeti!
(Questo fastidioso martellare
fa pensare alla mia finestra rotta.
Penso sia utile alla dissipazione della casa.
Sono iniziati i lavori dappertutto.
Non c'è silenzio, intorno. Non c'è pace.
Martellate, randellate. Sempre.)
Critica di Gianmario Lucini
Il corpo, nella sua gloria, nella sua fragilità, nella sua presenzialità totale dell'essere, nel suo richiamo al trascendente e all'immanente, è il tema di considerevole numero di poesie di Erminia Passannanti. L'autrice vuole così farci omaggio in anteprima di quanto ha già destinato alla stampa per i tipi di Ripostes, ossia la raccolta Il futuro, di prossima pubblicazione. Presumiamo che la scelta da lei fatta, in qualche modo riassuma i temi del libro, che non conosciamo ancora.
Ma è un corpo, questo, straordinariamente espressivo. A ben vedere, le situazioni che l'autrice prospetta, non sono soltanto fisiche, ma soprattutto politiche o psicologiche: il corpo personifica una idea, o anche uno stato d'animo ed un sentimento.
Come nei suoi disegni, l'autrice costruisce così per mezzo del testo, una integrazione mente/corpo, con continui traslati, esprimendo l'astratto e l'ambito psicologico con immagini corporee e il corpo con simbolismi astratti, come volesse tener ferma un'unità culturalmente compromessa (cioè compromessa nella nostra cultura).
Ne sortisce un'immagine poeticamente originale, non tanto del corpo, ma della identità-personalità poetica e sul ruolo della poesia, una sorta di epica del corpo-persona tragica, che è un atteggiamento culturale in forte contrasto con le tendenze di mistificazione e dis-integrazione, metafisiche da una parte e immanentiste dall'altra.
L'autrice rivendica insomma, attraverso la descrizione della scissione (che essendo consapevole non è quindi da attribuire al suo inconscio ma alla sua volontà e alla sua razionalità, al suo "messaggio" filosofico), un'integralità negata dalla cultura, come esibendo gli opposti corni del dualismo corpo/anima e sintetizzandoli in questo veloce scambio, o indifferente scambio di ruoli, appunto perché nella sua poetica il fisico *è* psicologico e lo psicologico *è* fisico.