Biografia



BIOGRAPHY

Erminia Passannanti was educated in Foreign Languages and Literatures (Italian, English, and French) at the University of Salerno (Italy). In 1988, she obtained a First-Class Honours Degree (Cum Magna Laude:100/110 e Lode) from the Faculty of Letters and Philosophy.

In 2004, she obtained her first Ph.D. in Italian literature at University College London with a doctoral thesis on the work of Italian poet, literary translator and essayist, Franco Fortini, involving  XXth Century Cultural History, History of Ideas, Poetry and Literary Criticism and Translation Theory. 

In 2014 she was granted a second Ph.D. in Social Sciences and Media Communication (Brunel University, England) with a thesis on Italian cinema and religious censorship.

In 2000. she won the Italian state competition ("Concorso a cattedra") to become a full school professor. Her research ranges from philosophy of literature, history of ideas, translation studies and film criticism.

He academic research ranges from philosophy of literature, history of ideas, translation studies and film criticism.

Erminia has authored books also on Italian cinema with a focus on the films of Pier Paolo Pasolini. Titles include La ricotta. Il sacro trasgredito (2008), Il corpo & il Potere. Salò o le 120 Giornate di Sodoma, (2004), Linguaggi e metalinguaggi ne La ricotta di Pier Paolo Pasolini. IL CIBO. (2005), Il Cristo dell'eresia (2009), La nudità del sacro nei film di Pier Paolo Pasolini (2019). Her books on Pasolini, Il Corpo & il Potere. Salò o le 120 Giornate di Sodoma (2004), La ricotta. Il Sacro Trasgredito (2007) and Il Cristo dell'eresia (2008) have received international attention.

Between 1997 and 2001, she acted as the Oxford organizer of the International Poetry Conference, "Dialogue Among Civilizations Through Poetry", sponsored and funded by the Unesco International Poetry Day And Week Of Dialogue. Events Held At The Maison Française, Oxford, Uk.

She is recipient of several prizes and university awards as poet and essay writer. In 1995 she won the first poetry prize for the National Poetry Award, "Laura Nobile", University of Siena. Other poetry prizes include the “David Maria Turoldo” First Prize for Poetry.

In 2011, she was awarded the first prize for essay writing for the Literary Prize, "Franco Fortini".

Among other authors, Erminia has translated into Italian TS Eliot's The Waste Land and has published books on Sylvia Plath's poetry.


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Erminia Passannanti è professoressa di Lingua, Civiltà e Letteratura Inglese per il Ministero della Pubblica Istruzione italiano. Ha conseguito il primo dottorato di ricerca a University College London nel 2004 sull'opera di Franco Fortini e ha ottenuto un secondo dottorato di ricerca nel 2014 presso Brunel University (England) in Social Sciences and Media Communication con una tesi sul cinema italiano e la censura religiosa. È vincitrice del concorso a cattedra del 2000. Le sue ricerche spaziano tra filosofia della letteratura, storia delle idee, studi di traduttologia e critica cinematografica.

Già vincitrice di tre edizioni di premi nazionali di poesia, “Laura Nobile (1993, 1995), “Davide Maria Turoldo” (2003), nel dicembre del 2011, E. Passannanti ha vinto il primo premio per la sezione “Saggistica" del concorso "Franco Fortini" (2011). È ideatrice e direttrice della Collana di Poesia e Cinema, Transference (Edizioni Joker).

Tra il 1997 e il 2001, è stata l'organizzatrice per Oxford (UK) della Conferenza internazionale di poesia, "Dialogue Among Civilizations Through Poetry", sponsorizzata e finanziata dall'Unesco International Poetry Day and Week Of Dialogue. Eventi tenuti presso la Maison Française, Oxford, Regno Unito.

Collabora con la rivista accademica Annali di Italianistica (USA). E' stata co-redattrice della rivista accademica La libellula di italianistica (Galway University).


German writer W. G. Sebald (known as Max Sebald), author of The Rings of Saturn and The Emigrants, with his secretary (Mrs Branwell), Italian translator in residence Erminia Passannanti, German translator in residence Martin. University of Norwich, England. (1991).

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QUALIFICATIONS

* Ph.D. in Italian Literature (University College London, 2004).

* Ph.D. in Social Sciences and Media Communications (Brunel University, 2014).

*  PGCE Teaching and Learning (Ministry of Italian Education & British Department of Education and Science, Durham, 1993).

 * Laurea quadriennale with final dissertation equivalent to BA+MA - Foreign Languages and Literatures (University of Salerno, 1988).

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Doctoral theses:

1 ****

Essay writing, lyric diction and poetic translation in the work of Franco Fortini

Author:  Passannanti, Erminia.

Awarding Body:   University College London (University of London)

Awarded:   2004

2 ****

Italian cinema and censorship by religion

Author:  Passannanti, Erminia

Awarding Body:   Brunel University London

Awarded:   2014 

ETHOS is the UK’s national thesis service which aims to maximise the visibility and availability of the UK’s doctoral research theses

https://ethos.bl.uk/SearchResults.do

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PUBLICATIONS

On Pier Paolo Pasolini:

* Il Corpo & il Potere. Salò o le 120 Giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini (Troubador, 2004);

*Linguaggi e metalinguaggi ne La ricotta di Pier Paolo Pasolini. IL CIBO. (Brindin Press, UK, 2005).

* La ricotta. Il Sacro Trasgredito, su P.P Pasolini e la censura clericale (2008);

* Il Cristo dell’Eresia. Rappresentazione del sacro e censura nei film di Pier Paolo Pasolini (Joker, 2009);

* La nudità del sacro nei film di Pier Paolo Pasolini (2019).

On  Franco Fortini :

* Poem of the Roses. Linguistic Expressionism in the Poetry of Franco Fortini (Troubador, 2005);

*Senso e semiotica in Paesaggio con Serpente (Brindin Press, 2004);

* Scrittura saggistica, dizione lirica e traduzione poetica nell’opera di Franco Fortini (Brindin Press, 2004);

Other books:

Vested Voices. Literary Transvestism (co-edited with Rossella Riccobono), (Troubador, 2006).

Sylvia Plath; Emily, Charlotte e Anne Brontë, Poesie (Ripostes, 1989); Leonard Woolf, A caccia di intellettuali (Ripostes, 1990);  Gli Uomini sono una beffa degli angeli: Poesia britannica contemporanea (Ripostes, 1993); R. S. Thomas, Liriche alla svolta di un millennio (Manni, 1998), Poesia del dissenso. Poesia italiana contemporanea (2004-2006), T.S. Eliot, La terra desolata (2015).

 

Intervista

Anna Maria Farabbi intervista

Erminia Passannanti per Il Gazzettino (2003)

1) Il tuo lavoro ad Oxford ti offre il privilegio di vivere linguisticamente e culturalmente una interessantissima postazione di osservazione. Come riesci a far convivere e coniugare le tue radici italiane e l’ ”ospitalità” inglese?

Più che d’ospitalità parlerei di una sorta di simbiosi, volta al reciproco profitto, in quanto, appena misi piede a Oxford, nell’agosto del 1995, nel giro di pochi mesi mi ritrovai a far parte dei circoli letterari e accademici del luogo, quasi spontaneamente, non dovendo subire l’impatto delle difficoltà burocratiche che, in una fase iniziale, spesso ostacolano i cambiamenti di residenza, soprattutto quando la città in cui si decide di trasferirsi è in una nazione straniera. In Inghilterra, la burocrazia è stata molto snellita e questo per il benessere degli stessi inglesi che, com’è noto, non tollererebbero di dovere perdere il loro tempo attendendo i comodi della orrenda macchina statale. Per queste e per molte altre ragioni, che hanno a che fare principalmente con la mia prima laurea in Lingue e Letterature Straniere, il mio allontanamento dall’Italia nel 1995 è avvenuto senza troppe difficoltà o traumi, anzi contrariamente alla mia natura scettica, con una sorta d’inusitato entusiasmo, di ottimistica aspettativa nelle opportunità a venire. Non avevo, in altre parole, l’urgenza economica o psicologica di mettermi alla ricerca di unriparo’: m’accadde di essere cercata da coloro che, per una ragione o per l’altra, avevano deciso di offrirmelo.

Parlo degli istituti accademici e di cultura in generale, come l’Istituto di Cultura Italiana a Londra, la Maison Francaise, la Rewley House, la Taylorian Library, e, non ultime, le varie università ospitanti come quella di Norwich, Oxford, Glasgow, Londra (UCL), Aberystwith (Galles), ma anche e soprattutto dei vari gruppi letterari e della gente che vive tra Oxford e la capitale, persone provenienti da ogni parte del mondo in cerca anche loro di ospitalità, e pronta a darne. Inoltre, provenendo dall’Italia, una nazione europea a cui l’Inghilterra guarda con ammirazione – fosse altro che per l’arte e le bellezze naturali delle nostre regioni – questa ospitalità offerta risulta oltremodo affabile. E questo mi fa piacere dirlo per confermare la giusta fama di cui gode Oxford quale città autenticamente multiculturale, aperta al mondo al di là dei confini insulari. Con questo non voglio dare l’impressione che da queste parti sia tutto rose e fiori, né che si stia verificando – o si sia verificato in me –  un distacco premeditato e finale dalle nostre radici italiane per il gusto o la volontà di cedere alla seduzione del ‘diverso’, dell’ ‘esotico’; questo no, non ritengo così facile la decadenza in me della matrice greco-latina, e cattolica, che resiste, motivando la mia poetica, rappresentando in percentuale gran parte della mia memoria storica e affettiva. Piuttosto, mi sembra di rintracciare nei miei scritti, ma anche nei miei atteggiamenti quotidiani, i segni concreti di quella naturale e originaria attitudine alla ‘contaminazione’ che avvertivo in me fino da adolescente, e che opera, in qualche senso, da un punto di vista culturale, oltre che psicologico, un’omogeneizzazione dei dati dell’ identità. Non è che io mi sia voluta estraniare dai mieicentri’ di significato, ma portarmi ‘oltre’ i loro perimetri. Ho sempre subito il fascino delle lingue straniere, in particolare di quella inglese, e, come poetessa, mi hanno influenzato diversi autori che ho studiato o tradotto, come le Brontë, Sylvia Plath, Seamus Heaney, Geoffrey Hill, R.S. Thomas. Romano Luperini ha notato che nella mia poesia si rintraccia più l’influenza di questi autori stranieri che quella delle grandi voci della nostra tradizione lirica nazionale. Del resto, lo dimostra Joyce nel romanzo Ulysses, ma prima di lui tutti gli artisti, come Swift, Rabelais, Chaucer, Dante, che si siano occupati del viaggio e della problematica dell’elaborazione di un proprio linguaggio ‘poetico’ come metafora di mutamento interiore, metamorfosi inevitabile, che da una parte conduce l’esule alla libertà conferita dal distacco, dalla partenza e, dall’altra, al tormento della non appartenenza, in modo che, dovunque si porti, non è più a casa da nessuna parte.

2) C’è davvero una possibilità di coniugazione tra le due culture? O sono mondi completamente diversi, estranei l’uno all’altro?

Credo che esista una forte complementarietà tra la cultura inglese e quella italiana, facce opposte di una stessa medaglia, per cui quello che manca a loro l’abbiano noi, e viceversa, una dinamica che determina un cercarsi reciproco, un avere bisogno l’uno dell’altro, come dimostra il turismo ‘back-and-forth’ tra i nostri due Paesi. Parlando della popolarità dei soggetti italiani connessi all’ ‘entertainment’, ad esempio, se una persona ha deciso di concedersi un ‘trattamento’ speciale, può scegliere tra una vasta gamma di opportunità, dallo ‘shopping’ all’atelieur di qualche nostro prestigioso stilista, al volo ‘Go’ per 50 sterline tasse comprese a Venezia, sulla Costiera Amalfitana o ai Laghi del nord, al corso di degustazione presso rinomate enoteche, e perfino alle lezioni di canto basate sull’apprendimento di famose arie dall’opera italiana. Coniugazione delle due culture, dunque, certo, ma, per quanto mi riguarda, ciò avviene nella prospettiva di una dialettica negativa: si tratta, in altre parole, di stabilire, di volta in volta, in quale polo di questa doppia identità io mi trovi meno a disagio, se nell’Italia di Berlusconi o nell’Inghilterra di Blair. In entrambi i casi, la risposta è difficile, se non addirittura drammatica.

3) Quanto e come la letteratura italiana, e in particolare la poesia, è conosciuta ed amata in Inghilterra?

Credo che la letteratura italiana classica sia sufficientemente conosciuta in Inghilterra; ma parlo di coloro che hanno interessi nel campo dell’arte e della cultura letteraria. Tuttavia, anche persone che non abbiano queste competenze specifiche saprebbero tirare in ballo, a un party o a un meeting, Dante o Machiavelli e, all’occorrenza, tra un drink e l’altro, perfino citarne un verso, un aforisma. In questa categoria di lettori, il progetto di riuscire – una volta andati in pensione – a tirare giù dallo scaffale la Divina Commedia (in traduzione), a sedersi in poltrona e leggerla dall’inizio alla fine sembra essere un’ambizione piuttosto diffusa.

Tornando alla tua domanda, ma facendo una digressione dal soggetto, a pensarci, più della letteratura, è il cinema italiano dei grandi maestri del neo-realismo a godere, tuttora, di una considerevole popolarità presso il pubblico inglese. Per quanto riguarda la fama dei nostri cineasti, nelle varie occasioni che ho avuto di discutere di questi soggetti, mi è sembrato che, sebbene il Rossellini di Roma città aperta, e il De Sica di Ladri di biciclette siamo molto apprezzati, si tenda a preferire il realismo esistenzialista del Fellini de La Dolce vita, o il surrealismo autobiografico di Otto e mezzo. E questo perché, forse, Fellini soddisfa maggiormente nell’audience straniera l’aspettativa di quegli stereotipi che con tanta ironia riusciva a passare sottobanco al fine di criticare la propria cultura e identità nazionale. Tuttavia, posso fare anche un esempio contrario, che dimostra come, al di là degli stereotipi, gli inglesi sappiano comprendere anche il carattere autentico dell’italianità; infatti, molta fortuna ebbe, qualche anno fa, il romanzo Il Mandolino del capitano Corelli, di Louis De Bernieres, ben recensito e venduto,  di cui tutti parlavano. Com’è noto, la storia ha per protagonista un eroico e romantico ufficiale italiano, appartenente nondimeno alla schiera dei vinti, il quale, per giunta, ama l’opera lirica, soggetti, questi, che sempreinteneriscono’ gli inglesi. Tuttavia, l’interpretazione di Michael Cage deluse, perché considerata un ‘americanata’ che non faceva giustizia alla natura del personaggio. Quindi, oltre alla sensibilità critica che suggeriva una netta distinzione di valori tra il romanzo e il film, venne attaccato lo stereotipo dell’uomo Corelli che il regista americano rinvigoriva sulla base del ritratto psicologico e culturale dato da De Bernieres.

Comprendere l’ ‘altro da sé’ è un’operazione sempre difficile, e si complica dinanzi a temi e valori transnazionali. Ad esempio, non so quanto a fondo, gli inglesi che si recano regolarmente al cinema, possano comprendere il Nanni Moretti di Aprile, o de La stanza del figlio, per l’impiego, intellettualizzato oltremisura, che questo nostro bravissimo regista fa di argomenti legati all’identità individuale in rapporto all’attualità politica italiana; o quanto risulti gradito alla riservatezza e al senso di pudore anglosassone l’autobiografismo del Tornatore di Malena, che mette in mostra un’imbarazzante e perversa intimità contro lo sfondo dei grandi eventi storici europei, di cui invece l’audience inglese ancora desidera sentirsi raccontare le trame.

Non è semplicemente un luogo comune che gli inglesi, diversamente dai francesi, dagli spagnoli e da noi italiani, siano refrattari a quelle forme artistiche e letterarie che pongano un’enfasi eccessiva sull’ideologia e/o sul sesso: essi, mi pare, attribuiscono a questi campi la prerogativa di degradare e/o volgarizzare i fatti umani. Io credo che, in generale, gli inglesi, anche quelli di cultura medio-alta, non stimino le opere in cui questi due aspetti, l’ideologia e il sesso, siano ostentati come valori. Infatti, soltanto da qualche mese è disponibile nella biblioteca pubblica di Oxford Salò, di Pasolini, e quando, finalmente prosciolto dal veto della censura, questo film fu proiettato nelle sale cinematografiche della città, era davvero poca la gente disposta ad assistervi.

4) Quanta della letteratura contemporanea, del primo o del secondo novecento si trasferisce nel Regno Unito? Puoi fare qualche nome?

A parte i classici citati, mi sembra che, per quanto concerne il romanzo italiano del Novecento, siano sicuramente i neorealisti ad essere letti, nell’originale o in traduzione, e a riempire gli scaffali delle varie librerie Blackwell, Waterstone, Borders. Penso a The Drowned and the Saved, di Primo Levi, Christ Stopped at Eboli, di Carlo Levi e The Things We Used to Say, di Natalia Ginzburg, che come vedi esistono nella versione inglese, … e penso anche al Pavese di The Moon and the Bonfires, al Moravia di The Comformist, e al Fenoglio di The Twenty-three Days of the City of Alba, anch’essi disponibili in traduzione. I romanzi di Italo Calvino e quelli di Umberto Eco – mi riferisco, in particolare, per il primo, a Il Barone Rampante e, per il secondo, a Il Nome della Rosa - godono di ottima reputazione e hanno certamente avuto successo di pubblico al tempo della loro pubblicazione. Per quanto riguarda il teatro, Pirandello sembra essere il più noto; comunque, quello del teatro rappresenta un ambito che non punta necessariamente a ottenere un successo di massa, e dunque, rimane prerogativa di un pubblico selezionato e raffinato. Ciò comporta che il numero di lettori che conoscono le opere di altri eminenti drammaturghi italiani, come De Filippo e Fo, sia modesto.

Ancora più rari sono coloro che conoscono la poesia italiana del primo Novecento: Montale, Quasimodo e Ungaretti rimangono privilegio di pochi eletti cultori, che vi accedono non tanto tramite opere in traduzione quanto, per lo più, nella lingua originale. Per quanto riguarda il secondo Novecento, il discorso è lo stesso. Zanzotto sembra essere recensito più di ogni altro nostro poeta vivente; esiste, inoltre, sul mercato una traduzione appezzabile delle poesie di Franco Fortini,  dal titolo Summer is not All, realizzata da Paul Lawton, per Carcanet, nel 1992; ma si tratta, in genere, di pubblicazioni accademiche, non alla portata di un pubblico amatoriale. In questi mega book-stores del Regno Unito, la poesia e il romanzo italiano devono letteralmente lottare per guadagnarsi un posto e farsi notare. Vuoi sapere del nostro patrimonio letterario che trapela più facilmente? Il genere del libretto: regina assoluta di popolarità è, infatti, l’opera lirica italiana, seguitissima e applauditissima, dovunque, in Inghilterra. Alcune produzioni a cui ho assistito erano davvero magistrali, altre, ma in proporzione minore, rischiavano di rasentare il più schietto kitsch. Diverse persone tra i miei conoscenti saprebbero canticchiare, dietro richiesta, un’aria dalla Traviata o dal Rigoletto.

5) C’è attenzione alla nostra letteratura da parte dell’editoria inglese, mi riferisco ad ogni tipo di pubblicazione sia nelle riviste che nei libri? E comunque ci sono iniziative che tu conosci atte a promuovere la conoscenza di autori italiani?

Le iniziative maggiori, in questo senso, sono promosse dall’Italian Cultural Institute di Londra, ma una buona parte degli eventi culturali e letterari che hanno luogo qui in Inghilterra sono incoraggiati dai vari dipartimenti d’Italiano delle università che offrono questa disciplina. Riagganciandomi a quanto dicevo prima, no, non credo che l’attenzione posta alla nostra letteratura contemporanea sia rilevante all’andamento del mercato editoriale inglese, che di per sé è molto florido e forte, sapendosi autogiustificare e autoincentivare, in ogni campo, soprattutto quello scientifico. Le letterature straniere sono, in quest’ottica, un fenomeno che definirei marginale. Condividendone il medium linguistico, molta è la letteratura americana importata nel Regno, ovviamente.

Per quanto riguarda la contemporaneità italiana, ho visto che Lara Cardella, Andrea de Carlo e Susanna Tamaro sono stati adottati nella loro lingua originale. Poca spesa, niente rischio. Forse il criterio che ha motivato l’interesse in questi autori si basa non tanto sulla qualità dei testi, ma sul fatto che siano stati dei best-sellers in Italia: è questo che motiva anche le iniziative editoriali delle opere contemporanee in traduzione: la commerciabilità.  Ho l’impressione che la presenza dei titoli citati in libreria sia dovuta principalmente alla mediazione dell’università che li prescrive come testi di studio, e non a un’effettiva popolarità del romanzo italiano nel settore della narrativa europea del ventesimo secolo. Si sa che gli inglesi sono all’avanguardia, in questo campo e impongono all’estero i loro autori e titoli meglio di quanto facciamo noi – ne è un esempio eclatante Ian McEwan, ma anche l’indiano Gunesekera e il tedeco Sebald, trapiantati in Inghilterra, tempestivamente esportati e tradotti nelle principali lingue europee.

6) Puoi brevemente tracciare una panoramica delle case editrici inglesi che pubblicano poesia, tenendo conto anche delle riviste?

Il discorso è questo: vi sono realtà diverse e stratificate anche qui, nel Regno Unito, dove, a giudicare dall’enorme numero di raccolte poetiche pubblicate dalle varie case editrici come Faber&Faber, Carcanet, Granta, Penguin  la situazione sembrerebbe essere meno tragica che in Italia, nazione in cui acquisire notorietà come poeta è un’impresa a dir poco disperata. In Inghilterra esistono i poeti main-stream che, sia per il loro effettivo valore, sia per conoscenze e appoggi vengono pubblicati dalle grandi case editrici – vedi, ad esempio, nel secondo dopoguerra, la proliferazione di giovani e promettenti autori, come Ted Hughes, Geoffrey Hill, Seamus Heaney, che si appoggiavano al Group o al Movement . Ed esistono anche qui i poeti underground che come Michael Horovitz o i poeti di Liverpool quali Roger McGough, pur mantenendosi ai margini dell’industria culturale, sono stati gradualmente assimilati dalla fagocitante apparecchiatura editoriale, e ora fanno anche loro parte del main-stream. Di riviste che appoggiano questo movimento a marea ce ne sono tante; tra le più accreditate, la London Review of Books, il Times Literary Supplement, lo Stand, la Poetry Review, per citarne solo alcune.

6) Per la poesia e per la letteratura in genere, ci sono difficoltà di pubblicazione così come in Italia?  In altri termini, in Inghilterra, che tipo di pubblico ha la poesia? Ha mercato?

Il pubblico della poesia è piuttosto vasto: questo perché molte persone ambiscono ad essere a loro volta poeti, e dunque in misura forse maggiore che i nostri lettori-aspiranti-poeti, comprano, leggono  e regalano la poesia altrui. Il segreto del successo presso un dato editore consiste nell’abilità del poeta di fargli vendere un numero di copie (oltre duemila) tale da invogliarlo a rischiare nuovamente. E per questo che, in questo paese,  sono così popolari le poetry-reading, basate sulla performance. C’è il rischio del divismo, è tangibile: la Regina fomenta di proposito questa vanità in alcuni dei suoi migliori autori che spendono anni inseguendo il miraggio di vedersi trasformati in laureate-poet, a un certo punto della carriera.

Comunque, bisogna dire che, anche grazie alla political correctness imposta dal British Cuncil alle grandi case editrici, larga importanza, promozione e diffusione ha assunto, nell’ultimo ventennio, la letteratura post-colonialista, che ha messo in luce le produzioni di opere in inglese di autori provenienti dalle ex-colonie. Le letterature comparate pongono notevole attenzione a questo soggetto, soprattutto per quanto riguarda la letteratura indiana e africana, e dunque a fenomeni letterari come quello di Salman Rushdie o Ben Ocri. Molte testimonianze delle trasformazioni in atto nella mentalità e nella cultura inglese sono rese dalle opere di questo genere di autori.

L’editoria inglese non manca di appoggiare anche le altre letterature presenti sul territorio o ad esso contigue, come quella irlandese, scozzese e gallese, che stanno vivendo tutte concordamente una volontà di revival culturale e linguistico.

8) I poeti hanno una possibilità di guadagno dalle loro pubblicazioni?

Il guadagno è sempre relativo: se si è poeti, si vive a stento delle ‘Royalties’ o dei soldi versati dalla casa editrice all’autore al momento del contratto. Per i romanzieri, il discorso cambia; ci si può permettere un certo alto reddito e un bell’appartamento a Londra, se tutto va per il verso giusto, in altre parole se la ricezione è buona. Ma questi sono equilibri delicati che dipendono da tanti fattori, anche imprevedibili. Perfino per un autore ampiamente letto, come Michael Dibdin, che scrive romanzi gialli molto graditi alla massa dei lettori, il diventare ricco è stata una scommessa.

9) In Inghilterra rispetto all’Italia, i traduttori inglesi sono maggiormente tutelati, richiesti,  pagati?

Esistono diverse associazioni professionali di traduttori e interpreti, e, tra queste, l’ITI e l’ACT sono le più stimate. Le cose sembrano essere più definite che in Italia e le offerte di lavoro più regolari e conformi alle norme del lavoro salariato. Gli Arts Council, soprattutto, investono in questa direzione per promuovere lo scambio tra letterature e lingue.

10) Puoi dirci qualcosa della tua rivista Transference, in Internet?

Transference è una rivista bilingue che pubblica sia poesia che saggistica. Questa iniziativa editoriale, che ormai opera da due anni, ha ospitato e ospita scrittori di notevole interesse. Il sito è molto visitato: si parla di una media di 80/100 lettori al giorno che raggiungono il nostro URL da ogni parte del mondo. Ho avuto la fortuna di essermi immessa nel circuito con una certa consapevolezza del mezzo tecnico. Il sito è a questo indirizzo web: http://www.transference.org.com.

11) Stai dirigendo per la casa editrice Ripostes di Salerno una nuova collana dedicata alla poesia inglese contemporanea. Per ora solo in testi originali. Quali sono i tuoi progetti? Gli autori che intendi pubblicare? Il target di pubblico a cui mirare?

Miro idealmente a un pubblico che sappia leggere i testi nella loro lingua originale, l’inglese. Considerato il fatto che, oltre a essersi imposta come lingua franca, grazie anche all’aiuto dei linguaggi multimediali, il suo apprendimento grammaticale è di fatto più semplice rispetto alle altre lingue europee come il tedesco o il francese, spero che le persone in grado di godere di questi testi poetici non-tradotti non siano un numero esiguo. La collana si chiamerà Transference, come la rivista on-line bilingue di poesia e saggistica che curo. Ripostes, nella persona di Alessandro Tesauro, è una casa editrice piccola, ma intraprendente, dotata di molto gusto e intuizione. Mi auguro, inoltre, di aprire la collana anche ad autori italiani contemporanei che vogliano provarsi con il bilinguismo.

12) Avendo due lingue in corpo, come e quando nasce in te una poesia inglese e come quando una in lingua italiana? Mentre ti chiedo, mi viene da pensare ad Amelia Rosselli, alla sua natura bilingue, alla sua risposta.

Ti sono grata per avermi posto questa domanda. Scrivo poesie in inglese quando devo pormi in relazione dialogica con i poeti di lingua inglese con cui settimanalmente mi incontro per partecipare ai work-shop, ad esempio, o alle poetry-reading, o ancora per scambiare opinioni con altri membri partecipanti di una data on-line poetry-list, come Poetryetc, o British Poets. In quei casi, scrivo in inglese soprattutto per farmi leggere, oppure mi autotraduco. Accade con altrettanta frequenza che siano gli altri a tradurmi, come è avvenuto con Peter Dale e Brian Cole, autori l’uno di preziose versioni inglesi delle poesie di Corbiere, Laforgue, Villon e Dante, e l’altro di un’ accreditata edizione bilingue delle poesie d’amore di Pablo Neruda.

Sempre a proposito del mio bilinguismo ‘poetico’, più di un critico ha voluto indicare una certa affinità tra i miei versi e quelli di Amelia Rosselli, che come me possedeva la capacità di scrivere poesie in lingua straniera. Ciò è avvenuto trasversalmente, tramite non la mia conoscenza delle sue tematiche, che, al tempo in cui ho iniziato a scrivere, data la mia giovane età e la mia inesperienza, mi erano ancora ignote, e tantomeno per avere tradotto poeti stranieri e per esserci occupate criticamente di Sylvia Plath. Cercherò di chiarire questa somiglianza. Non ho mai raccontato di una circostanza occorsa nel 1989 o forse nel 1990 – al tempo in cui da poco avevo finito di redigere la mia tesi sul tema del suicidio nell’opera della Plath. Già attiva nel campo della scrittura creativa, mi recai a una rassegna di poesia organizzata a Salerno, chiamata appunto Poesia, di cui erano ospiti due critici che dovevano diventare in futuro miei cari amici, Romano Luperini e Robert Dombroski, e due poeti Edoardo Sanguineti [questi anche presente come critico] e Amelia Rosselli. Alla fine della serata, fui invitata a unirmi ai letterati diretti a cena, ma mentre camminavo sul Lungomare insieme al gruppo, fui affiancata dalla Rosselli che mi chiese cortesemente, con la sua voce ieratica e insieme roca, se mi avesse fatto piacere tenerle compagnia perché non si sentiva disposta ad andare al ristorante.  La seguii più per curiosità, non avendo ancora una misura esatta del suo valore. Una volta raggiunto l’albergo, entrammo nella sua camera d’albergo al terzo piano. Questa era particolarmente stretta e soffocante, con una finestrella che dava su un muro grigio. Amelia non pareva angustiarsene più di tanto. Ci sedemmo sul lettuccio e cominciammo a parlare affabilmente. Mentre fumava una dopo l’altra dal suo pacchetto tutte le sigarette, passarono le ore, e si fece mattino, avendo al centro della nostra conversazione, come principale argomento, la Plath, le sue poesie, le traduzioni che entrambe avevamo realizzato dei testi di Ariel, la tematica del suicidio. Nel lasciarla, volle regalarmi un libretto rilegato a mano contenente il testo inedito di un poemetto che intendeva pubblicare di lì a poco, avente come soggetto la lotta di classe, il cui famoso incipit recitava:’Il borghese non sono io…’ Invero, il fascino di questo poemetto non è tanto nel suo contenuto di pensiero, ma in come esso viene tradotto in forma poetica.

Dopo quell’incontro, ci sentimmo qualche altra volta telefonicamente, ma sempre per mia iniziativa. Ricordava l’occasione del nostro primo incontro, m’invitava ad andarla a trovare nella sua casa a Roma, mi chiedeva di mandarle i miei testi per pubblicarli a Roma con La tartaruga. Non andai mai a trovarla né le inviai le mie poesie. Tuttavia, rimase forte in me l’impressione che ci fosse tra noi un aggancio che trascendeva l’interesse per la Plath, o quello per il soggetto della traduzione poetica; era un nesso che ovviamente esisteva al di là delle nostre biografie, e che risiedeva appunto nel linguaggio poetico che possedevamo, un linguaggio miscela d’idiomi nazionali e stranieri, appresi da sfere che esulavano dalla mera ricerca di una coerenza del discorso letterario in sé.

Percepivo già allora, in me, la tendenza a quel tipo di linguaggio contaminato, al cui centro c’è l’esperienza del dissimile, del molteplice, del caos, quella Babele che apparteneva al modo ellittico di parlare e di scrivere della Rosselli, alla sua persona e alla sua poesia: un linguaggio quotidiano, fatto di idiomi e formule,  e tuttavia imprevedibile, difforme, espressionista, se visto dall’ottica normativa che sempre è delle lingue standard. Penso alla Serie ospedaliera, alla quale per autentiche affinità linguistiche, e non già tematiche, è analogo il mio poemetto In Iugoslavia con i piedi a terra del 1993.

 

13) Lavorando, parlando quotidianamente, vivendo intensamente e naturalmente la lingua inglese, credi ti abbia recato condizionamenti, influssi, innesti al tuo italiano. Hai una percezione diversa, più staccata o più intima forse, degli aspetti fonetici, della profondità stratificata della accezioni, della lingua italiana?

Si, credo di si, più intima, e più esigente, in molti sensi. Ad esempio, per introdurre una nota frivola, in talune persone ammiro il modo in cui pronunciano certi suoni chiave del nostro idioma. In inglese, mi affascina la sensualità dellath’, e la successione delle sibilanti che si percepiscono distintamente se ci si astrae e si lascia che la lingua diventi musica.

Per rispondere più a fondo alla tua domanda, dirò che la coscienza della propria lingua, come ha notato Elias Canetti, si accentua sempre nell’imminenza o nella minaccia di una sua perdita, vuoi per  l’acquisizione metodica di altre lingue, vuoi per lontananza dal luogo d’origine in cui la lingua-madre viva continua a evolversi e a modificarsi mentre tu sei assente. Certo parlando quotidianamente l’inglese – e insegnando l’italiano come letteratura – vivo la condizione di una continua nostalgia del mio idioma, che temo potersi incuneare, anno per anno, nella nicchia del meramente letterario, del libresco, che sa di polveroso, ammuffito. Non nego che a questa ipotesi provi allarme e smarrimento. Come ammoniva Franco Fortini, questi sentimenti sono forse indici di una perdita inevitabile dell’integrità e dell’attendibilità dell’universo della parola poetica in quanto tale.

 

Dr. Erminia Passannanti

Tutor in Italian Literature

St Clare’s College

139, Banbury Road

Oxford UK

 

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