POESIA “Mise-en-abyme”

 POESIA


“Mise-en-abyme”


Disse una menzogna lieve:
ogni parola detta
divenne uno specchio,

ogni specchio generò
un altro specchio
che all’infinito
ripeteva il nesso.

Così l’uomo,
per non guardarsi in volto,
visse nella copia di se stesso:
un corridoio d’immagini
che moltiplicava ogni suo gesto

e nessuno di quei volti
era più il suo vero volto.

Alla fine
non ricordò se la menzogna
fosse nata per paura,
per gioco,
o distrazione.


Erminia Passannanti
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**Erminia Passannanti, "Mise-en-abyme"


Saggio di analisi testuale con apparato critico**

- Premessa metodologica

Il presente contributo si propone di analizzare la poesia "Mise-en-abyme", di Erminia Passannanti attraverso una metodologia rigorosamente testuale, evitando ogni sovrapposizione biografica, psicologica o simbolica non supportata dal testo. L’analisi farà riferimento ai dispositivi formali e semantico–strutturali che governano la poesia, collocandola nel quadro più ampio delle tecniche di autoriflessività e regressione speculare adottate nella letteratura contemporanea. Il titolo stesso, che richiama la nota definizione di mise en abyme elaborata da André Gide e ripresa dagli studi narratologici di Dällenbach, fornisce una chiave d’accesso eminentemente formale.

- La menzogna come causa formale e non tematica

L’incipit “Disse una menzogna lieve” stabilisce immediatamente un punto d’origine minimo, quasi irrilevante per portata etica ma centrale per funzione strutturale. La menzogna, definita “lieve”, non è indagata come atto psicologico bensì come gesto linguistico dotato di una forza generativa. La poesia rinuncia esplicitamente a un’esposizione contenutistica dell’inganno; ciò inscrive la menzogna entro il dominio della performatività linguistica, non della moralità.

Il rapporto tra atto linguistico e produzione di immagini ha precedenti illustri nella tradizione poetica novecentesca, ma qui il fenomeno assume una connotazione specifica: la parola non genera un’immagine metaforica o un effetto emozionale, bensì diventa immediatamente “uno specchio”. Il passaggio è testuale, non interpretativo: la parola si tramuta in superficie riflettente, assumendo la funzione di un duplicatore.

- La catena speculare come dispositivo di mise en abyme

La trasformazione della parola in specchio inaugura la dinamica principale del testo: la generazione di altri specchi. La formula “ogni specchio generò un altro specchio / che all’infinito ripeteva il nesso” costituisce una delle più chiare realizzazioni poetiche del principio di mise en abyme: non la semplice ripetizione, ma la replicazione strutturale di una relazione generativa.

La poesia non presenta variazioni nel processo né intervalli di discontinuità: la generazione degli specchi è automatica, impersonale, potenzialmente interminabile. Il sintagma “ripeteva il nesso” allude a un rapporto logico di causalità — specchio genera specchio — che si auto-perpetua. Tale rapporto, essendo privo di un termine, indica un movimento di regressione infinita.

La tradizione critica ha riconosciuto nella mise en abyme un meccanismo testuale che produce effetti di instabilità semantica, perdita dell’origine e smarrimento del referente. La poesia di Passannanti applica questo principio in forma narrativa e figurale, senza trasformarlo in allegoria né in riflessione metapoetica esplicita.

- . L’ingresso del soggetto nella struttura speculare

La figura dell’“uomo” compare non come agente, ma come elemento inglobato nel processo speculare. Il testo recita che egli “per non guardarsi in volto / visse nella copia di se stesso”. È rilevante che il soggetto beckettiano non abiti il proprio volto, ma la sua replica. Il punto qui non è motivazionale — evitare il volto autentico — bensì fenomenologico: l’uomo vive in uno spazio di copie prodotte dal dispositivo speculare.

La descrizione “un corridoio d’immagini / che moltiplicava ogni suo gesto” configura lo spazio testuale in termini architettonici quasi futuristici. La moltiplicazione degli specchi genera una topologia lineare, un “corridoio”, in cui ciò che viene riflesso è tanto il volto quanto l’azione. L’effetto è una proliferazione percettiva che eccede la capacità del soggetto di riconoscere la propria immagine originaria.

Da questo punto in poi, l’identità si destabilizza psicologicamente: “e nessuno di quei volti / era più il suo vero volto”. Il testo non afferma che il volto sia scomparso; afferma che non è più distinguibile tra le molte repliche. Si verifica dunque una tipica conseguenza della mise en abyme: l’origine è oscurata dalla serie delle copie.

- La dissoluzione della causa: perdita della memoria dell’origine

La sezione conclusiva introduce l’aspetto epistemico del processo. L’uomo, ormai immerso nella catena speculare, “non ricordò se la menzogna fosse nata per paura, per gioco, o distrazione”. L’indeterminatezza non riguarda l’atto in sé, ma la sua causa. Le tre possibilità elencate — paura, gioco, distrazione — ricoprono uno spettro di motivazioni eterogenee, nessuna delle quali prevale.

Questa sospensione conoscitiva è coerente con la dissoluzione dell’origine già vista nella sfera visiva: così come il volto autentico si perde fra le copie, così l’origine motivazionale si dissolve fra ipotesi non verificabili. La regressione speculare ha un effetto non solo sulla rappresentazione dell’immagine, ma anche sulla rappresentazione del sapere: l’origine non è più recuperabile.

Sul piano della teoria letteraria, ciò si collega alla tesi, avanzata da Dällenbach e ripresa in parte dalla critica post-strutturalista, secondo cui la mise en abyme genera spazi testuali privi di fondamento, dove la gerarchia tra originale e copia collassa.

- Conclusione: coerenza tra dispositivo e significato

Mise-en-abyme presenta una coerenza interna straordinariamente rigida. La poesia non si limita a tematizzare la duplicazione: la incorpora come principio di organizzazione semantica e formale. L’atto linguistico iniziale genera immagini che generano altre immagini; la figura umana è risucchiata nel processo; il volto perde riconoscibilità; la causa sfuma in una serie di possibilità non verificabili. Il testo non offre una morale, né un’interpretazione psicologica della menzogna: ciò che mostra è il funzionamento di un sistema autoriproducente.

Il messaggio risiede dunque nella fenomenologia del processo, non in un contenuto concettuale aggiunto. Mise-en-abyme rappresenta una delle più nette realizzazioni poetiche di un dispositivo di regressione speculare applicato non alla narrazione metatestuale, ma alla costruzione di un immaginario percettivo e identitario che si autodissolve.

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