Erminia Passannanti. " IN QUESTA NOSTRA ALBA " Poesia

 IN QUESTA NOSTRA ALBA             

         

(A Marcello)


ha scricchiolato la sedia

ad un pensiero anonimo

 

vedo la traccia vermiglia

sul tuo polso.

in questa nostra

alba

 

sono pregna.

di te porto in grembo

il seme. pesante giogo.

 

replicare a un disegno

o assecondare le immodeste richieste 

del corpo.

tutti i racconti nel nostro cuore ateo 

sono tentativi che la mano ha fallito: passa 

in un baleno. è l’occhio del ciclone. 

sottomettersi, così, al tuo volere, 

aprirsi a un monologo. 

avevo solo questa sottile corda. 

 

s’infrange la lingua.

il vetro freme e tu

siedi composto.

questo freddo pensiero ha il mio nome, 

è la farfalla rapita

dal tuo sguardo.


(in Erminia Passannanti, Macchina, Poesie, Manni Editore, 2000)



"L’occhio del ciclone: corpo, voce e silenzio in “In questa nostra alba” di Erminia Passannanti"

Commento alla poesia 

by Antonella Sartor **

“In questa nostra alba” è una poesia che si svolge tutta su un piano di intimità esposta, cruda, spezzata: il discorso di questa poesia non è chiuso in un io lirico isolato, ma si rivolge a un “tu” carico di ambiguità e potenza, reale o attribuita, un interlocutore amato e insieme distante, forse un’emanazione mentale, forse il corpo reale che l’io poetico abita e interroga.

L’incipit si apre con un gesto minimo, lo scricchiolio della sedia, che introduce subito una dimensione di silenzio e sospensione. Quel rumore non è casuale: è la reazione della materia al pensiero, un pensiero “anonimo”, senza firma, eppure in grado di mettere in vibrazione la realtà fisica. L’atmosfera è rarefatta, ma segnata da una precisione visiva: la traccia vermiglia sul polso è segno di una ferita, desiderio o passaggio, laddove il polso è luogo del sangue, della vita, ma anche della sua minaccia. Il gesto di vedere un segno in questa traccia suggella un’intimità perturbante, forse concessa da un trauma divenuto legame.

Il nucleo semantico della poesia si raccoglie nel verso: “in questa nostra alba / sono pregna.” La parola “alba” è carica di ambivalenza: è un principio, una nascita, ma non è un’alba astratta. È "nostra", condivisa, costruita insieme. È in questo tempo metaforico del giorno che nasce qualcosa: una gravidanza, più letterale che reale, quel seme che la voce dice di portare in grembo: non è solo dono, ma carico, imposizione, destino che vincola.

La poesia si snoda poi come una riflessione interiore sulla volontà, sul desiderio, sull’azione. Il bivio tra “replicare a un disegno” e “assecondare le immodeste richieste del corpo” non è semplicemente quello tra spirito e carne, ma tra il seguire un ordine esterno e lasciarsi attraversare dalla pulsione. Il corpo qui è soggetto autonomo, agente, portatore di richieste che travalicano il logos, la ragione, la volontà.

Il cuore concettuale del testo si trova in quella frase densa e violenta:

“tutti i racconti nel nostro cuore ateo / sono tentativi che la mano ha fallito: passa / in un baleno. è l’occhio del ciclone.”

L’ateismo del cuore non va inteso in senso religioso, ma come condizione di mancanza di fede, di vuoto simbolico, di sfiducia nell’ordine del mondo. I “racconti” sono proiezioni, illusioni, forse narrazioni d’amore o identità. Tutti falliscono. La mano che scrive e che crea è impotente. Resta solo un istante di sospensione assoluta, l’“occhio del ciclone”: quel centro quieto nel mezzo del disastro, in cui tutto è fermo, ma minacciato. È la pausa prima del collasso o della rivelazione.

Nel finale, l’io lirico si spoglia della propria autonomia: “sottomettersi, così, al tuo volere, / aprirsi a un monologo” -- il dialogo è, infatti, impossibile con un referente distratto e assente -- che sottolinea l’aspetto dialogico-negato della voce poetica. 

Il “tu” prende il controllo della scena, scrive una poesia, ma questo parlare è percepito come "monologo" perché l'interlocutore non è empatico, e la voce femminile, gravida e sofferente, si riduce a una corda sottile, immagine ambivalente, che può essere cordone ombelicale, legame, vincolo o anche cappio. La lingua s’infrange: la parola si rompe, si spezza, come il vetro che “freme”. La comunicazione è interrotta, fallita, mentre l’altro siede “composto”, distante, forse indifferente.

Il finale è un ritorno al simbolo. Il “freddo pensiero” che ha “il mio nome” è identificazione estrema tra soggetto e idea, tra io e l’altro, in uno sdoppiamento: l’io diventa pensiero freddo, oggetto, farfalla catturata dallo sguardo del tu. La “farfalla” è emblema fragile, simbolico, vittima: “rapita” è parola che contiene insieme stupore e violenza. L’annullamento soggettivo nell’alterità è totale.

Questa poesia, dall'essenza ragionativa amletica, non risolve il dilemma, ma si conclude in un’immobilità tesa, silenziosa, di cristallo infranto, dove la parola poetica si piega all’esperienza del legame, dell’attesa, della passività forzata, ma riesce nonostante tutto a dirsi, a emergere come testimonianza, residuo fragile di un’intimità che supera la lingua.

“In questa nostra alba” è, in ultima analisi, una poesia della memoria semantica del vissuto erotico-sentimentale,dunque relazionale che non si dissolve né può dirsi superato: è una poesia sulla soglia dell’annientamento ma anche della resistenza, sull’inizio come ferita, sul corpo come destino, sul linguaggio come estrema forma di sopravvivenza. 



**Antonella Sartor (Venezia, Italia) è stata una studiosa di linguistica testuale e si è occupata in particolare della semantica e della struttura del testo poetico.

Antonella Sartor ha dato voce a un originale percorso di scrittura che intreccia nozioni di linguistica e retorica allo sguardo clinico-esistenziale. Si è occupata delle patologie legate all’afasia linguistica e alle forme di scrittura creativa che ne simulano o rielaborano le dinamiche. Nel suo testo Auto(ritratto)matismo, si muove tra analisi critica e osservazione del linguaggio afasico, delineando con rigore e compassione i tratti delle malattie che lo determinano. La sua scrittura, radicata nella concretezza del vissuto personale, avendo avuto la madre affetta da una di queste patologie dell'età senile, mette in luce come attraverso il linguaggio afasico, anche la scrittura poetica possa realizzare un’elaborazione simbolica del corpo e della memoria, evocando la fragilità dell’identità nei territori estremi del sé.

Ha organizzato a Venezia un incontro di poesia con, tra gli altri, i poeti Gianmario Lucini, Cristian Sinicco, Erminia Passannanti, Caterina D'Avino.


Testi di Antonella Sartor On-line su Erodiade

https://erodiade.blogspot.com/2021/12/autoritrattomatismo-antonella-sartor-n-9.html 

https://erodiade.blogspot.com/2011/07/la-comprensione-delle-metafore-e-idiomi.html 

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