FRAMCESCO MANDRINO. Recensione alla raccolta Macchina, di Erminia Passannanti (Manni Editore, 2000)

 

 FRANCESCO MANDRINO 

Recensione alla raccolta Macchina (Manni Editore, 2000)



Avrebbe potuto essere, per me, un libro come tanti altri – non uno tra molti, ma nemmeno l’unico. Un bel libro di poesie, la cui lettura, pagina dopo pagina, si rivela coinvolgente sul piano emotivo. Non sarebbero mancati i temi da esplorare, né le sfumature da mettere in luce. Proverò a fare qualche esempio tra i più immediati, giusto per capirci meglio.

La poesia "Il Re, le Parole" (p. 25), scritta necessariamente prima di martedì 11 settembre 2001 e di tutto ciò che si è detto e scritto dopo quel giorno in cui la storia ha indossato la tragedia, colpisce già nei suoi primi tre versi: “A me la vita non piace / e non posso cambiarla./ Mi sforzo allora, di farmela piacere e dico La vita è bella”,  che si riflettono nei tre conclusivi: “nella speranza che il male e il bene /non mentano più e smettano / di sembrare diversi.” (E. Passannanti, Macchina, 2000)  Il riferimento agli eventi di quella data potrebbe sembrare immediato, se non conoscessimo la cronologia della composizione. Tuttavia, al di là del moto emotivo momentaneo, l’avvenimento storico non grava sul verso al punto da alterarne il senso.

Si potrebbe, a tal proposito, riflettere su come la tecnica della negazione dell’azione rafforzi l’intenzione. In Pablo Neruda (Venti poesie d’amore, n. 20), si parte da una condizione intransitiva – Posso scrivere i versi più tristi questa notte… – per poi aprirsi all’universale: … gli astri azzurri, lontano. Nel caso che ci riguarda, invece, si parte da una condizione transitiva che non si allontana dall’interlocutore: “Potrei forse scriverti / … / se come noi / anche tu / hai consumato i tuoi giorni…” ((E. Passannanti, Macchina, 2000, p. 73).

Pur introducendo un’ipotesi, la negazione è rimandata e si lega a un contesto esterno al rapporto con l’interlocutore: potrei se… tu hai, non tu avessi. La condizione si manifesta solo dopo una pausa significativa: “potrei // ma qui si aggirano i corvi / … / al servizio delle tenebre.” Qui la poesia si apre all’universale, e trova compimento. Nell’altro caso, invece, il senso si chiude nel ripiegamento sull’interlocutore, anche se assente: “Anche se… / questi sono gli ultimi versi che le scrivo.” Eppure, per quanto profondamente diverse, restano entrambe poesie d’amore.

Questa Macchina sfugge alla comune accezione che la vuole automobile o veicolo, e si avvicina piuttosto al significato latino di machina, ae, f.: ordigno, macchina da guerra, macchinazione, artificio, invenzione (cfr. Campanini–Carboni). Nel mio caso specifico, la sento come un meccanismo inquietante, dal moto talmente veloce e complesso da renderne impossibile l’osservazione durante il funzionamento. Avete mai visto una linotype in azione? Avrebbe potuto essere tutto questo. Non sarebbero mancati gli argomenti da trattare. Invece, a pagina 51, della raccolta di Passannanti, al centro della poesia “Brina”, ho letto, scritto in corsivo:  


L’opera di un uomo, disse un giorno / mentre recidevo una rosa, / non è che questo lento viaggio / attraverso quelle due tre immagini / grandi e semplici alla cui presenza / il suo cuore ha per la prima volta trasalito.” (E. Passannanti, Macchina, 2000)


Ricordo di aver visto, una volta, un piccolo elicottero atterrare dolcemente su un prato. Quando fu a pochi metri dal suolo, tutta l’erba attorno si abbassò improvvisamente, come se si inchinasse. Allo stesso modo, dopo aver letto quei versi, tutto si è abbassato dentro di me: la tenerezza dei ricordi di gioventù, il rimpianto degli amori perduti, la sofferenza per le decisioni prese. È rimasto solo qualcosa di avvenuto e lontano, ma ancora vivo e indelebile, anche se cancellato – qualcosa di indefinibile prima ancora che indicibile. Qualcosa che mi ha attratto come non riesce più ad attrarmi il futuro, come uno specchio di luce in fondo al buio di un pozzo. 

Cosa posso dire ora al lettore, cui sono chiamato a parlare? Solo questo: fate attenzione. Lasciate questo libro di poesie di Erminia nelle mie mani e andate oltre. Abbandonatemi in questa stanza buia, insieme al signor Gregor Samsa, intento a completare la sua metamorfosi.


Francesco Mandrino 


Popular posts from this blog

“O, never say that I was false of heart”. Love pretence in William Shakespeare's Sonnet 109

Biografia