Atto del Tradurre Erminia Passannanti (Milano, 22 febbraio 2001)
Atto del Tradurre
Erminia Passannanti
(Milano, 22 febbraio 2001)
Ogni nuova comprensione di un testo nell'atto stesso della traduzione si configura sempre come un progetto inedito e radicalmente personale, implicando un esercizio di creatività individuale e un'assunzione di responsabilità nell'uso del linguaggio. La traduzione non si riduce a una mera trasposizione semantica, bensì costituisce un'attività ermeneutica che presuppone una continua rielaborazione interpretativa.
Secondo Gadamer, la natura del mondo è essenzialmente linguistica, nel senso che l'essere umano può comprendere un evento o un oggetto solo attraverso la loro espressione in un linguaggio. L'ermeneutica si configura, dunque, come la modalità fondamentale dell'agire umano, evidenziando il primato del linguaggio quale strumento di accesso al reale. Un testo esiste in quanto istanza in cui l'autore riesce ad articolare idee nella forma di significati e a tradurre questi ultimi in un linguaggio comprensibile. Le idee, inscritte nel linguaggio, fungono da moduli espressivi che consentono l'appropriazione del reale e la sua trasmissione.
Il problema del linguaggio emerge come questione centrale nel rapporto tra soggettività e mondo esterno, configurandosi come un ponte tra due dimensioni distinte ma inscindibili. La comprensione della natura di un determinato linguaggio rappresenta la chiave per una traduzione efficace, capace di cogliere la dinamica interattiva tra l'io e il mondo. Heidegger, nel delineare il ruolo del linguaggio, lo definisce "la casa dell'essere", non concependolo come un semplice strumento, ma come un ambiente in cui l'essere trova il suo senso e la sua manifestazione. In "Essere e Tempo", Heidegger analizza le strutture autentiche e inautentiche della temporalità, concependo il tempo come il contesto teorico in cui si sviluppano le problematiche gnoseologiche, etiche e antropologiche. Successivamente, la sua riflessione si sposta sul linguaggio non come semplice discorso, ma come principio autonomo e originariamente creativo.
Per Heidegger, l'esperienza autentica dell'essere umano si configura come una presa di coscienza delle responsabilità nei confronti delle possibilità tramandate dalla storia e dalla propria collettività. Il linguaggio non è un mero veicolo della tradizione storico-culturale, ma il luogo stesso in cui essa si realizza. In tale prospettiva, la questione dell'essere si intreccia indissolubilmente con la storicità del linguaggio, le cui sedimentazioni epocali si stratificano nella tradizione, rendendo complessa l'operazione di traduzione e reinterpretazione all'interno di differenti contesti linguistici e culturali.
Si impone, dunque, una distinzione tra lingua e linguaggio. La lingua si configura come un sistema organizzato di segni verbali che un popolo utilizza per esprimersi e comunicare, caratterizzandosi per la sua dimensione orale e sociale, come evidenziato da Saussure. Il linguaggio, invece, rappresenta un codice trasmissibile, declinabile in molteplici forme quali il linguaggio musicale, gestuale, poetico e cinematografico. Ogni linguaggio possiede destinatari specifici e si fonda su un sistema di segni e simboli, presupponendo una correlazione intersoggettiva tra gli interlocutori.
Lo strutturalismo ha interpretato il linguaggio come una totalità preesistente rispetto ai suoi elementi costitutivi, spostando il focus dalla relazione tra parole e cose a quella tra esperienza e modalità di manifestazione. Ciò ha posto in primo piano il momento ermeneutico, sottolineando come la storia si configuri come un campo di lotta tra interpretazioni e prospettive teorico-critiche. La ricezione dei testi implica, pertanto, una considerazione della loro temporalità e del rapporto dialettico tra memoria e oblio, elementi che determinano le scelte interpretative di ogni epoca storica.
In questo contesto si inserisce la riflessione decostruzionista, la quale, se da un lato apre nuove prospettive critiche, dall'altro rischia di destoricizzare i testi e di favorire un'arbitrarietà interpretativa. Wittgenstein, da parte sua, definisce il linguaggio come una "forma di vita", un gioco regolato da norme semantiche e sintattiche poste dalla collettività e radicate nella sua storia e interazione con il mondo. Come Heidegger, anche Wittgenstein concepisce il linguaggio come un ambiente storicamente e socialmente determinato, caratterizzato dalla coesistenza di differenti registri, tra cui quelli etico, scientifico ed estetico.
Nel pensiero filosofico sul linguaggio, emerge con forza il concetto di attività: il linguaggio non è un'entità statica, bensì una realtà dinamica, un processo espressivo che consente all'individuo di affrancarsi dai linguaggi oggettivanti della scienza e della storia. Ogni traduzione si configura necessariamente come un'interpretazione, un riuso del patrimonio culturale di epoche trascorse o di lingue e culture differenti. La traduzione, dal latino "traducere", implica non solo il trasferimento di un testo in un altro idioma, ma anche un atto di smascheramento e una ricerca di conoscenza.
L'atto del tradurre rappresenta, dunque, un processo eminentemente ermeneutico, volto a verificare l'impatto di un'opera all'interno di un nuovo sistema linguistico e culturale. La traduzione del linguaggio poetico e metaforico, in particolare, si configura come un'interpretazione delle possibilità espressive dell'autore e dei suoi processi creativi. Ne deriva una sfida tra due sistemi comunicativi ed espressivi, in cui la decodifica dei simboli poetici si scontra con la loro resistenza a schemi predefiniti e a regole linguistiche codificate.
Il poeta, infatti, spesso si inganna sulla propria identità, introducendo ulteriori livelli di complessità interpretativa che trascendono il contenuto manifesto del testo. Ogni opera poetica cela un contenuto latente che, secondo Freud, si inscrive nella dimensione dell'inconscio e del sogno, risultando inaccessibile anche al traduttore più attento o allo stesso autore. In questi casi, la traduzione si configura come un viaggio in un territorio linguistico sconosciuto, una deviazione dal modello comunicativo consueto, tanto più intricata quanto più consapevolmente premeditata dall'autore.