DANIELE MEDICI. Maree, Poesie (Ripostes, 2000)


DANIELE MEDICI

 

     Maree, Poesie (Ripostes, 2000)

  

 AT.

 

Come sei bella.

Con le tue nebbie azzurrine

il tuo buio d’arancio

che lavora

i tuoi fiumi

viaggi lontani

le tue valli

d’agnelli docili

e rosso-codati

cavalli

le tue fosse

cadute da cui riemergi

le tue piante verdi

il tuo rivo Calore

i tuoi semi di sale

le zolle scure

macchie sulla pelle

le spighe d’orzo

dei desideri.

 

Tu sei la terra.

Fossi il mare che ti abbraccia

la luna che ti guarda

il sole che ti scalda.

Come sei bella.

Così imperfetta.

Così imperfetta

da poterti amare.        

 

 

Maree dell'Io, la poesia di Daniele Medici

 

di Erminia Passannanti

"Nella caligine dorata veleggia

come per incanto sospesa

una nota di tristezza."

 

(Daniele Medici, "Mattina", Maree, 2000)

 

Daniele Medici è stato un poeta di rara determinazione. In un'epoca svuotata di significato e spessore, la sua tensione a mantenere una relazione intima e originaria con i fenomeni del mondo naturale, come i tramonti ad ovest dietro il profilo buio della costa amalfitana, le maree, le nebbie, il crepuscolo delle sere settembrine,  appare struggente e insieme disperata, segnata da un’irrimediabile malinconia. Egli non è stato soltanto poeta della solitudine esistenziale, ma un idealista che inseguiva, nella scrittura come nel reale, una riconciliazione possibile con l’universo degli altri, quello distante, muto e impenetrabile della donna amata e mai posseduta, ammirata con i toni elegiaci di una tematica del difetto: “Come sei bella (…) così imperfetta/ da poterti/ amare” (‘A Teresa’, Maree, 2000). Dotato, inoltre, di una sincera pulsione a trascendere l’Io e a portarsi, con visioni limpide, e  cristalline, oltre il proprio orizzonte, Daniele Medici ha composto versi densi di immagini solari, che dilatano il dato biografico verso significati più generosi e universali, come nella penultima stanza e nel commiato della poesia “Gabbiani” (Maree, 200) che recita:

 

Gabbiani
Per me voi siete
Le camice bianche della rivoluzione
Le bianche vele aperte all’orizzonte
Di un mondo antico e sempre nuovo

Che si rinnova
E poi si arresta
Prende il volo
E poi si ferma
Lungo una linea dritta e lunga
Come il vostro becco lungo che fa crr-à.

 

Chi ha conosciuto Daniele Medici ha avuto l'esperienza di imbattersi in un Io poetico di estrema compattezza e sincerità.  L’esistenza grave e penosa di questo autore si è conclusa nell'estate del 2000 con il suicidio. Mi preme ricordarne tanto la biografia quanto l’opera perché le tematiche e il  valore stesso dei suoi testi  sono strettamente connessi al vissuto mentale e affettivo che ne ha deciso la sorte: un vissuto costruito sulle brevi e  intense gioie della percezione lirica, sull'immedesimazione acuta con il paesaggio urbano, sull'idillio della sua relazione ininterrotta con il mare e le spiagge sconfinate del litorale salernitano  e sul dolore della quotidiana lotta per la sopravvivenza.

I versi di Daniele sembrano venire di lontano, simili all'eco di narrazioni mitiche, trasportando nel presente il corpo e la memoria di un eroe omerico che ha smarrito la strada e si scopre irrimediabilmente perduto in una dimensione aliena, orfana, che a stento riconosce e di cui tuttavia tenta una comprensione. Questa dimensione straniata e intensamente lirica fanno di Daniele un poeta insieme moderno e antico. L'adozione di due forme distinte, quella epica delle Libere poesie, caratterizzate da una vena autoironica d'ispirazione dadaista, in polemica contro l'establishment letterario della contemporaneità, e quella lirica, alla Neruda, di poesie come "Oltre il tuo viso" e "Sei svanita così", "Sera di settembre", indicano la versatilità di una  concezione materialista del mondo che non inibisce la magia dei fenomeni a cui assiste né quella semplice e profonda delle sue espressioni verbali, come recita la seconda stanza di "Oltre il tuo viso", (in Maree, Ripostes, 2000):

 

E' acqua amara la fonte
a furia di berne ne siamo amareggiati
e camminiamo, camminiamo
un'intera umanità in cammino
occhi fissi e passi stanchi
senza mai fermarci.

Si percepisce in questi versi la profonda malinconia di un uomo ‘col cuore gonfio/ e il ventre deluso’, che tuttavia non ha rinunciato alla vita. L’apprensione del poeta non è più causata da una minaccia esterna: non è veramente la ‘fonte amara’ o la strada, ma il desiderio esorbitante di pienezza ad opprimerlo. L’uso del plurale lascia emergere l’immagine di un’umanità posta dinanzi all’inutilità della sua lotta, del suo itinerario. La difficoltà del cammino, e la ricerca vana di un altrove si ripiegano all’interno del poeta come nell’animo di ciascun uomo, debilitandolo, riducendolo a vagabondo. Le origini di questo malessere vanno ricercate nella crisi della visione moderna del mondo, di cui è espressione. Allo stesso modo, il desiderio svilisce e stimola, nella poesia ‘A T.’, dedicata a una donna desiderata per tutta la vita e mai posseduta:

un cinghiale

è la mia anima

il mio folle  desiderio

furioso

per la cerca

di Teresa

Benché frustrato, è il desiderio di vita irriducibile, a determinare l’avvicendarsi di Eros e Thanatos nella poesia dedicata a Teresa. La donna resiste, lo respinge, ne teme la veemenza brutale. Questo desiderio, che rende l’amante ‘furioso’ di possesso come un cinghiale selvatico non è esterno all’animaè l’anima. Nella fantasia dell’amante, l’abiezione del suo desiderio animalesco causerà orrore e, allo stesso tempo, sedurrà l’amata. L’incontro, che mai avvenne nella vita reale se non attraverso il ripudio e la negazione, apparterrà alla sfera dell’immaginario, dell’ipotetico, trasformando la bestia in un ‘daino gentile’, l’anima furiosa in un’anima riconciliata, ristabilendo l’ordine lirico, la decenza sentimentale. Come spiega Kristeva, ‘Non è la mancanza di pulizia o di salute a causare l’abiezione, ma ciò che disturba l’identità, il sistema, l’ordine’. (Powers of Horrors). La scissione del soggetto sarà ipoteticamente sanata nel momento in cui l’amore idealizzato, unico a garantire la salvezza, verrà ricambiato, speranza che si pone come un’ipotesi a venire, che rende possibile il superamento dell’abiezione e il ritorno dell’anima-cinghiale alla dimora più idonea all’Io, la gentilezza:

Un giorno quel cinghiale

ti troverà

ti annuserà

ti prenderà sul groppone

portandoti a me

trasformandomi

in daino gentile.

Malgrado il dolore palpabile di queste considerazioni, le poesie di Daniele Medici hanno sempre dinanzi un interlocutore ideale, amico o amante, chiamato a condividere i processi e le intenzioni della composizione (‘camminiamo, camminiamo […] senza mai fermarci’). Le frequenti personificazioni di gabbiani, cinghiali e cavalli, a cui l’autore fa ricorso, popolano di protagonisti e interpreti alla Fedro lo spazio narrativo di Libere Poesie, l’altra raccolta da cui sono tratte i testi qui citati, presenze vive e parlanti con cui l’autore dialoga, elaborando un qualche significato da attribuire al mondo. L’allegorismo si pone come un sistema favolistico immanente, atto a interpretare ciò che sembrerebbe altrimenti incomprensibile con il solo ausilio della ragione. Per queste qualità umane e liriche, si spera che la sua opera trovi, un giorno, un meritato posto nella poesia del secondo Novecento.

Daniele Medici ha pubblicato, in vita, il poemetto Oste, la mia coste... , con la casa editrice Enchiridion, Mestre, 1993 e tre raccolte di poesie, Nettuniana, (Ripostes, Salerno-Roma, 1987), Volo di gabbiano ferito (Enchiridion, Mestre 1995), Libere Poesie, (Salerno, 1996). La raccolta Maree (Ripostes, 2000) è stata pubblicata postuma a cura di Gabriele Pulli e Alessandro Tesauro.

Daniele Medici è vissuto a Salerno, si è laureato in Sociologia presso la cattedra di Lettere e Filosofia della stessa città. I suoi amici più intimi sono stati Gabriele Pulli (Filosofo), Giustino De Buerris (Linguista), Erminia Passannanti (Poetessa), e Alessandro Tesauro (Editore).  

 

 

DANIELE MEDICI, POESIE (Maree, 2000)

 

 

 

Canto di periferia

 

Ed ora ascoltate con me

questo dolcissimo canto

che proviene

da remote vastità

vicoli lontani

spersi nei meandri bui

di periferia.

 

Note malinconiche

una voce di donna

diffonde nella notte

l’eco di un’infelicità

senza luogo

senza tempo un po’ più lontano

il rumore del mare.

 

Questa voce giunge di là

da quel vicolo buio di periferia

dove oltre una siepe

brilla solitaria una luce

e una puttana

per attirare i clienti

suona il piano.

 


Cinghiale

 

Un cinghiale

s'aggira

tra le siepi

in cerca di Teresa

 

un cinghiale

si cinghia

tra nevi

in cerca di Teresa

 

un cinghiale

è la mia anima

il mio folle  desiderio

furioso

per la cerca

di Teresa

 

Un giorno quel cinghiale

ti troverà

ti annuserà

ti prenderà sul groppone

portandoti a me

trasformandomi

in daino gentile.

 

 

2000©DanieleMedici 

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