Poesia: STORIA DI S. ST., SARTA E NUBILE. Erminia Passannanti
Dipinto di Anonimo.
“Giovane donna sul letto di morte”, 1621, Scuola Fiamminga.
STORIA DI S. ST., SARTA E NUBILE
Omaggio a K. G.
Jung
Dipinto di Anonimo. Giovane donna
sul letto di morte, 1621, scuola fiamminga
*
di notte sono tormentata
da migliaia di serpi
il mio letto è tappeto
di aghi di pino
vi appoggio la testa
insostituibile
sono la duplice
politecnica
sono la regina degli orfani
mandano
danaro a vagoni
verso la mia capitale
ho creato la giogaia
dalla cima più alta
forse un bimbo verde
nasce.
**
volevo dire pressappoco
ferro cuscino sogno
predicazione a punto basso
porta vetrata ventilazione
stoffa, sì,
stoffa tagliata come burro
la razione d’emozione
che riferisco alla parola
“forbici”.
finestra, e pertugio, sono soltanto
un’amante del clavicembalo.
il fiore è la camelia.
O Signore, qui riaffiora
un’idea palpitante
come corolla lieve
o sentiment d’incomplétude.
***
sono stata danneggiata
grandemente da un rinvenimento
quanto mai remoto. ogni volta rifà
la sua degna comparsa
verde e in vetrina
selvaggio lacrimante
ridotto a lutto e in guerra
proprietario d’uno schiavo
fuori/dentro il negozio
lo schiavo sconosciuto
con in testa l’elmetto
e sul viso la maschera.
Ovvero inammissibile
come il bimbo
imbrattato a terra.
****
Signore,
con la presente la imploro solennemente di
obliarmi con la massima urgenza. La mia testa è un chenin, un gattin,
dove trova posto un bel piumatissimo cappello ed un bouchet di foglie
pallide e dolori. Nota a tutti la razione di umiliazione che ho dovuto patire.
Seviziando la morte sono riuscita a risalire.
Non mi aspetto, per il momento, alcuna fine
infausta. Rifiorirò, essendo persona sopravvissuta alle più grandi
tribolazioni. Attualmente sono allo stremo delle forze. Desidero essere
immediatamente rinnegata, e quando mi sarò allontanata, allora sì che io e
Napoli inizieremo a fornire maccheroni a tutto il Mondo.
(30 gennaio 2007)
*Poesia in memoria
di un caso clinico trattato da Jung, di giovane affetta da demenza paranoide.
La poesia contiene tra l’altro una sintesi di alcune ossessioni ed automatismi
della giovane S. St. molto interessanti sul piano delle associazioni e degli automatismi
linguistici che affiorano dal
sostrato emotivo alterato della paziente.[1]
Quando ho letto i frammenti di analisi di questa
paziente di Jung, recentemente, gli stralci di alcune sue lettere al direttore
dell’ospedale psichiatrico per richiedere di essere dimessa, quando ho
esaminato il tipo di afasia da cui era affetta (ho citato Jung oltre che
Jakobson, nel mio saggio sulla Libellula), catalogata accuratamente da Jung e
dai suoi assistenti, ho trovato molte affinità con la voce della degente ne “La
libellula”, di Rosselli. Molte, troppe affinità anche con il linguaggio afasico
della paziente demente che io ho direttamente esaminato e registrato, tra il
1990 e il 1993, e di cui ho riportato integralmente i deliri nella raccolta
Macchina (già completata nel 1993 per il Premio Laura Nobile, premio che
infatti la raccolta vinse appunto, secondo me, per la presenza della voce
monologante di questa dramatis personae altra da me), e per il tema
della malattia afasica, sia come patologia fisica sia come esaltazione della
parola poetica, raccolta che potette essere pubblicata da Manni solo nel 2000
per mie difficoltà economiche.
La raccolta Macchina e il poemetto In
Iugoslavia con i piedi a terra erano infatti una mia riscrittura dei deliri
afasici di questo soggetto femminile, che avevo così da vicino analizzato e
trascritto.
Ci sono delle costanti incredibili, nei deliri della
demenza paranoie delle pazienti ospedalizzate. Riguardano il danneggiamento,
l’autostima lesa, il valore dell’Io anche nel suo danneggiamento e la sua
apologia costante, una certa dose di megalomania (ma sedata e mortificata,
appunto) che si pone sul fronte della sopravvivenza, il concetto del proprio
corpo come macchina, della propria morale come potenzialmente criminosa,
insomma: vi sono delle costanti, come l’enfasi sulla intelligenza “impaired”,
sul capitale di questa intelligenza dissipata.
Ho voluto pagare, con questa mia recente ripresa di
quello stile e di quei temi, un “late tribute” alla parola afasica, in quanto,
leggendo le testimonianze verbali, orali e scritte, della paziente di Jung, ho
ritenuto che ella fosse potenzialmente un’autentica poetessa, ovvero di una che
oggi si direbbe tale, e che noi riterremmo tale.
[1] Ho scritto altrove
a proposito di queste afasie linguistiche, in una silloge
esegetica sulla poesia del Novecento, in relazione al linguaggio di Amelia
Rosselli ne La libellula (Erminia Passannanti, Logos, afasia e spazialità ne
La libellula di Amelia Rosselli, Spazio e Spazialità poetica, a cura di
Laura Incalcaterra McLoughlin, Troubador, 2005, pp. 67-88). Il saggio è stato
ripubblicato da Biagio Cepollaro sul suo sito ed è presente on-line.