Mistici, Poesie. (Ripostes, 2003), di Erminia Passannanti Una nota di Anny Ballardini ISBN 88-86819-73-0 “...- Io penso a quello che penso (come e quando lo desidero)” da “Profezia”. Da questa torre, di certo imponente, la metafora poetica nasconde il volto dell’Autrice che indaga oltre le sfere dell’apparenza. Di suo interesse è il sondare l’incomprensibile, l’ignoto, l’assoluto. Si serve di colori, termini, un comporre ricercato, quadri simbolici, termini astratti, voli non umani, proiezioni, per giungere a concedere la voce di protagonista a un concetto quale la Rivoluzione in “W la Revoluçion”: “E dal letto alla piazza nel mio occhio rifletto le legioni affamate dalle vecchie abitudini,..” Quando alla base, avendo scavato e sventrato i versi, interpellato i sensi, cimentata nelle irregolarità del caso, ricevuto e dato, nel momento meditativo culminante e spossato, “il paradiso terrestre il paradiso locato in basso che odora di patate sotterrate ... quale sarà la fine di questa alternativa tra il vivere e il morire - alternativa falsa tra i germogli e la terra.” non resta nulla, neppure uno stato sconsolato, solo un viso che guarda, trasposizioni, una lucidità da chirurgo - il sangue scorre, si riversa, fluisce, resta la morte - sia nella fisica che nella metafisica. Mistici di Erminia Passannanti è la raccolta di 28 liriche suddivise in un trittico: La vita consacrata che si apre - non casualmente - con la composizione poetica: “Volevo scrivere una lirica...”, composta da 15 poesie; Eresia di nove; e infine La Sacra Famiglia di quattordici. Nulla nei testi di Passannanti viene lasciato all’improvvisazione o allo slancio ingenuo, il processo dello svolgimento è arduo e costretto, un “Essere” che è forzato a fermarsi in un luogo di riferimento, che necessita di una macchina: “forma del corpo ombra un errore la funzione dell’anima”. Un vortice analitico e sensitivo che trascina come dei mulinelli ciechi e non visti all’interno di uno sguardo ipnotico e ammaliante, dalla forza concentrica dei rotorilievi duchampiani, ma con una densità sensuale che ne tinge le morse gravitazionali: “impulsi eccitano il mio muro ... della gravità nessuno può dimostrare il ritmo” (da “Gravità dell’imprevedibile). L’elegante guanto felpato di Nabokov / di Proust, viene rovesciato per mostrare un interno che si deforma in labirinti intricati, tunnel che si inoltrano nel centro della terra, dell’uomo, della donna, nel mistico. Non è forse in quest’ultimo ambito che si trovano le preghiere più pure, quelle essenziali, abbozzate dalle menti tra la veglia e il sonno nel momento del richiamo di una divinità superiore in aiuto per il miracolo, per la soluzione cosciente e tangibile del rebus. Ed è qui che noi incontriamo l’altra Erminia Passannanti, quella dalla voce incantevole e incantata, la credente nella vita, l’interrogante, l’orante. Un canto purificato che si intesse si parole come le zolle zappate e rivoltate ripulite dal sudore della fatica in “Abbandono”. Una Passannanti che conserva incubi ancestrali in una paralisi che le nega la comprensione perché le direzioni per giungere allo scopo vengono impartite in modo fosco, siamo nel “Cubo*”: “Il valore della normativa è quattro e mezzo. La normativa è trasformare il quattro definitivo in quattro e mezzo. Non avevo il Principio - che è il Numero. il numero che mi doleva nei ricordi”. Per giungere al delirio orgiastico in “Confessione”: “...veste patibolare, ..fulgida icona, ...rotondità zuppa degli inferi, ... del nostro Consorte nostro Despota”. Ritorna il simbolo della rosa, rosa-figlia, rosa-atto d’amore, rosa-passato donato appartenuto a “te”, “rosa sabbiosa / in un teatro di parole / abbandonata / alla ragione trascendenza”, rosa la madre: “Angela Rosa Conte”, venerazione e rispetto. E infine siamo alla prosa, “la Chiesa di Dio, di Gesù, della Madonna, degli Angeli degli Ultimi Dubbi”. E riconosciamo un’altra Erminia Passannanti in questo suo scritto che oscilla tra l’ironia, il paradosso, la farsa, lo scherzo e una buona dose di saggezza popolare voluta, per spiegare l’ovvietà dei sacramenti volutamente occultata per due millenni e tuttora nutrita, non solo nel sud dell’Italia, nella sua splendida terra, ma pure a Oxford dove risiede e insegna, a New York, nelle Americhe del Sud e in tutto quel mondo che i missionari nel nome di Dio sparsero sangue di cupidigia per giungere al potere. Ecco quindi che mistica è l’essenza dell’Uomo, quel suo elevarsi nel sacrificio, di cui la stessa croce è simbolo, “mirate come il rovo ai suoi piedi si crebbe a formare una croce...” (Il sentiero delle more - In memoria di Daniele Medici) ma una croce di altra sostanza, fatta forse di bacche, o di automobili imbottigliate, o di routine, o di pazzia, di certo di “una salda economia” di valori fondanti sempre inquisiti, mai ritagliati dallo stampo della quiete o della rassicurazione. Anny Ballardini©2003 * Il Cubo, film di Vincenzo Natali. | |||