L'errore . Una poesia cristologica.

 “L’errore”


Lusso e libertà,
naturalmente, si,
mi pentirò e mi
castigherò
quando il tuo bicchiere
si sarà svuotato.
Come hai dimenticato,

in quante notti insonni,
mio Gesù, mio sacrificato, esposto
su una croce cruda
nel vento e nella pioggia
o in un giorno assolato,
le unghie che si sfaldano,
la pelle indurita,
non più uomo che icona?

Reggere il tuo cuore
nel palmo della mano
non è per quel che causa al mondo.
Preso in prestito da molti,
deposto, freddo, in una cripta sigillata
tutta fatta di marmo,
che brilla nella penombra
come in una cattedrale.

Discusso,
abusato,
un intero affare
di posti, nomi e leggi.

Ma tu, impudente,
tu, scalzo e smilzo,
pallido,
dissanguato,
ecco che mi siedi dinanzi,
nuovamente,
eloquente, sereno, invecchiato
non ancora disposto
a vedere l’errore.

Erminia Passannanti, 23/10/2000

 


La poesia “L’errore” (2000) mette in scena un confronto potente tra realtà e ideali, sofferenza e tradimento, presenza viva del Cristo e istituzione mortificante del suo messaggio di umiltà. Emerge da questi versi la figura di Gesù come simbolo cardine per riflettere sul senso profondo della fede in epoca contemporanea, tra sacrificio, memoria, e l’errore storico che ha svuotato di significato l’esperienza originaria del sacro.

La lirica si apre portando il Cristo nel mondo  contemporaneo, evocando il contrasto tra lusso e libertà, probabilmente associati a una dimensione mondana della religione laicizzata, ma introduce subito l’idea del pentimento e della punizione, che saranno pienamente sentiti solo quando il “bicchiere si sarà svuotato”: una possibile metafora del tempo, dell’esperienza o della fine di un’illusione.

Il testo si concentra fortemente sull’immagine di Gesù, “sacrificato”, “esposto su una croce cruda”, con dettagli corporei realistici (“le unghie che si sfaldano”, “la pelle indurita”). Qui Gesù non è una figura religiosa idealizzata, ma un uomo reale e sofferente, che si trova suo malgrado a diventare “icona”, simbolo e vittima di una riduzione, di una trasformazione non prevista. Si presenta una tensione tra fede e disillusione. Il cuore di Gesù è “preso in prestito da molti”, “deposto, freddo, in una cripta sigillata”, segno di come il messaggio divino sia diventato un testo statico, un rituale, finanche commercializzato e politicizzato (“discusso, abusato / un intero affare / di posti, nomi e leggi”).

La spiritualità si scontra con la realtà istituzionale, storica e sociale della religione. L’incontro con il Cristo uomo in questi versi è in effetti quello con una presenza viva in una situazione critica.

Nonostante tutto, Gesù appare “impudente”, “scalzo e smilzo”, “pallido, dissanguato”, ma anche “eloquente, sereno, invecchiato”. Non è dunque un Cristo assoggettato, ma ancora un interlocutore vivo che si “siede dinanzi” a chi scrive, pronto a un confronto. L’“errore” menzionato nel titolo e che chiude la poesia (“non ancora disposto a vedere l’errore”) rimanda a una questione irrisolta, forse il fraintendimento o la deviazione dal senso autentico della fede.

L'autrice sembra dunque rappresentare un dialogo intimo e conflittuale con il divino attraverso la figura di Gesù, in cui emerge sia un profondo rispetto sia un’amara consapevolezza di una missione tradita dagli altri. Vi è pertanto un forte attacco alla religione istituzionalizzata. L’accenno a “posti, nomi e leggi” e a una “cripta sigillata” propone una critica alla cristianità organizzata, che ha trasformato il sacro in una pratica rigida e statica.

Ciò che colpisce in questa poesia è l’interlocuzione in versi con un Gesù in carne e ossa, dal corpo sofferente (“non più uomo che icona”), che accentua la dimensione della sua fragilità ma anche della sua resistenza a un’epoca avversa, fatta di provocazioni. Tra gli altri temi emerge quello dell’“errore”, lasciato aperto dal titolo come riflessione su cosa esso realmente sia stato per la Cristianità: è forse l’errore della distanza tra il messaggio originario e la sua successiva percezione.

Emanuela Rocco (c) 2025




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