William Shakespeare Sonetto 27
William Shakespeare
Sonetto 27
Sfinito dal cammino, mi affretto al mio letto,
caro il riposo a me stanco del viaggio
ma lì comincia della mente il tragitto
quando quello del corpo è interrotto,
così i pensieri dalla mia dimora distante,
ideando per te un pellegrinaggio zelante,
tengon spalancate le palpebre di sbieco
fissando l'oscurità che vede solo il cieco
per stampare nella mia anima a sembianza
l'ombra tua dinanzi agli occhi senza vista
come gioiello che al buio sospeso
fa bella e giovane la vecchia notte fonda.
Così di giorno il corpo, a notte senza luce
la mente mia per te per me mai trova pace!
Traduzione di Erminia Passannanti (2021).
Weary with toil, I
haste me to my bed,
The dear repose for limbs with travel tired;
But then begins a journey in my head,
To work my mind, when body’s work’s expired:
For then my thoughts, from far where I abide,
Intend a zealous pilgrimage to thee,
And keep my drooping eyelids open wide,
Looking on darkness which the blind do see:
Save that my soul’s imaginary sight
Presents thy shadow to my sightless view,
Which, like a jewel hung in ghastly night,
Makes black night beauteous and her old face new.
Lo! Thus, by day my limbs,
by night my mind,
For thee and for myself no
quiet find.
William Shakespeare (1609).
COMMENTO AL SONETTO 27
Il tema dell’amore come percezione dell’immaginario erotico-sentimentale che viaggia al di là dell’“evidenza”, resa dal tropo degli occhi e dalla funzione della “vista”, è l’elemento portante di questo sonetto n. 27 della raccolta di 154 sonetti di William Shakespeare, pubblicati per la prima volta a Londra nel 1609 da Thomas Thorpe, notoriamente dedicati a due persone in particolare, il “Fair Youth” (126 sonetti) e la “Dark Lady” (26 sonetti).[1]
Il sonetto 27 segue la classica scansione di 14 versi con rime ABAB, CDCD, EFEF, GG, con un distico finale in cui l’autore sintetizza in modo epigrammatico il senso della composizione.
Così di giorno il corpo, a notte senza luce
la mente mia per te per me mai trova pace!
Ogni sonetto d’amore sensuale o platonico prevede l’interlocuzione sottintesa o esplicitata tra un amante e un amato/una amata. In questo sonetto, la persona fatta oggetto dei sentimenti del poeta è ritenuto comunemente essere il suo giovane amico, il Fair Youth. La sua sembianza pervade e, anzi, ossessiona la mente dell’autore, impedendogli di addormentarsi serenamente e trovare ristoro dalla sua stanchezza fisica. La voce di colui che scrive il sonetto, intanto che lo immagina, è presente in corpo e mente su un palcoscenico concreto, quello del letto in cui si è gettato stanco a notte.
L’altro tema che avvolge e conferisce direzione a questo amore profondo che non consente a chi ama di riposare è quello del viaggio, nella realtà o nell'immaginazione, come avventura visiva di percezione e conoscenza: il primo tipo di viaggio descritto è effettivo, circostanziale, fisico e mondano, come se il poeta avesse appena fatto ritorno da una visita all’amato, l’altro invece rappresenta un tipo di viaggio oltre il tempo e lo spazio, denso di tensione spirituale, un andare con il pensiero a ritroso quasi in un pellegrinaggio religioso che riporta l’anima presso l’oggetto osservato e idolatrato, come emerge in particolare nella seconda quartina nei versi “For then my thoughts, from far where I abide,/ Intend a zealous pilgrimage to thee”.
La mente del poeta, che di notte ricorda i tratti del volto dell’oggetto del suo amore (amico o amante) lo rappresenta come un gioiello sfaccettato che sospeso nel buio abbaglia e incanta, mentre ne sottolinea l’influenza duratura e magica, accanto alla sua prestanza fisica idealizzata in altri sonetti.[2] La lontananza rende più intenso e possibile questo gioco della fantasia amorosa intorno al soggetto dell’amore che nell’oscurità si staglia come unica realtà sia fisica sia mentale dolcemente perturbante. La percezione del poeta innamorato è esercitata fino a diventare fantasia su un soggetto fisico, che ha il prerequisito di un fascino che va oltre il concreto.
Come nel sonetto 116, anche in questo sonetto 27, l’amato, identificato con Henry Wriothesley, terzo Duca di Southampton, è presentato (qui nella terza quartina e nel verso 11) come una persona dalla presenza luminosa. Il giudizio espresso alla distanza sullo splendore del soggetto, radicato nel cuore del poeta, nasce inizialmente da una esperienza di vicinanza e ammirazione dal vivo, ma è rielaborato da una prospettiva in cui si annulla ogni punto di vista.
Ne La fenomenologia della percezione, Maurice Merleau-Ponty pone la questione del punto di vista dal quale si possa vedere un soggetto qual è nella sua realtà:
“Dal punto di vista del mio corpo, non vedo mai uguali i sei lati di un cubo, anche se è fatto di vetro, e tuttavia, la parola “cubo” ha un significato: il cubo stesso, il cubo nella realtà, oltre la sua apparenza sensibile, ha sei lati tutti uguali.” (Merleau-Ponty, 1962: 203)
Allo stesso modo che un cubo con sei lati uguali è visibile in modo erroneo da una qualsiasi prospettiva, anche l’amato può essere percepito nella sua interezza solo dall’assenza di una prospettiva concreta, ovvero con l’immaginazione, nell’assenza di spazio, punti di vista e coordinate. Essere disteso sul letto e fissare il buio ad occhi spalancati in tal senso consente la percezione che Shakespeare ritiene essere simile a quella del cieco che vede nell’oscurità le forme articolate dalla sua mente.
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[1] Di questi sonetti 126 sonetti dedicati al Fair Youth, i più famosi sono Sonetto 1: “From Fairest Creatures We Desire Increase”. Sonetto 18: “Shall I Compare Thee To A Summer's Day?”. Sonetto 29: “When In Disgrace With Fortune and Men's Eyes.” Sonetto 73: “That Time Of Year Thou Mayst In Me Behold.” Sonetto 116: Let Me Not To The Marriage Of True Minds.
[2] Nel poemetto The Rape of Lucrece (1594), Shakespeare scrive una dedica al conte Wriothesley: “The love I dedicate to your lordship is without end ... What I have done is yours; what I have to do is yours; being part in all I have, devoted yours.”